«Molti sostengono che la nascita delle sardine sia avvenuta in un luogo non casuale. Altri che senza il Salvini di turno una certa sinistra tenda a assopirsi. Non siamo nessuno per decidere chi ha ragione. Ma ci diverte lanciare la monetina di tanto in tanto. E scoprire se viene fuori testa o croce», dice il leader del movimento. Quotando lo storico Fulvio Cammarano, Cantierebologna scommette che da qui possa partire l’Europa Federale
di Mattia Santori
“Non preoccuparti, Renée, non mi suiciderò e non darò fuoco proprio a un bel niente. Perché d’ora in poi, per te, andrò alla ricerca dei sempre nel mai. La bellezza, qui, in questo mondo”.In questi mesi provo un profondo senso di invidia nei confronti di chi ha una vita dignitosa e, ad esempio, ha potuto godere di questo rallentamento forzato coltivando un orto o leggendo un romanzo. Così, quando posso, rubo sprazzi di vita “degna” alla mia ragazza che ha una doppia fortuna: ama leggere e legge velocemente. Tra vari furti letterari mi è capitata sotto gli occhi, o meglio mi è stata recapitata, questa frase del bestseller di Muriel Barbery. Una frase che sintetizza lo scontro tra solitudine e speranza, tra utopia e concretezza. Con la vita che fa a cazzotti con l’apatia e la rassegnazione. E oltre a ritrovarci me stesso, ho ritrovato tanto della politica attuale e della società di oggi.
In seguito alla piazza di Bologna, che ha consegnato me e i miei amici a una fama immeritata, ci fu spesso chiesto dai nostri coetanei e dagli amici più giovani “come avessimo fatto”. Una domanda che mette in difficoltà per due ordini di ragioni. La prima è che ti adagia automaticamente su un piedistallo che non hai richiesto, la seconda è che non sapresti come rispondere. Perché semplicemente non lo sai come hai fatto. Ti ricordi solo che eri a un tavolo a sparare l’ennesima idea geniale ma irrealizzabile e riaprendo gli occhi ti sei trovato in mezzo a un mare di gente che sprizza energia da tutti i pori ringraziandoti. Poi ci pensi un attimo e ti rendi conto che aveva, ancora una volta, ragione Mandela, nella sua celebre sentenza: “Sembra sempre impossibile finché non viene fatto”. Sarà questo, quindi, a fare la differenza? Un semplice fare di renziana memoria? Se fosse così facile non saremmo qui a crucciarci per una società che va a rotoli e un dibattito politico che ha raggiunto i livelli di audience pari solo ai tempi del Bunga Bunga, superandone di poco i livelli di dignità. Quindi ci dev’essere dell’altro.
Una roba che non è mai stata capita di quello che molti definiscono movimento delle sardine è che siamo nati consapevolmente in appoggio alla politica. Al suo servizio. E solo in un secondo momento ho compreso perché questa impostazione non venisse compresa. Per il mondo dei media, e per gran parte degli attori del dibattito pubblico, la politica si vive solo contrastandola o leccandogli il didietro. Non c’è via di mezzo. E questo spiega tanto del perché non siamo in grado di costruire un futuro complesso, incapace di non disintegrarsi al primo soffio di vento. Non c’è alleanza con la politica, non c’è compromesso. O sei colluso o sei un anarchico. Il che equivale a dire che se il tuo vicino di casa ti annaffia le piante quando sei in vacanza lo fa certamente perché si aspetta una cena in cambio quando tornerai. Per quanto assurdo possa sembrare è esattamente la percezione che si ha oggi del dibattito pubblico. Quando studiavo i processi partecipativi che accompagnano la realizzazione di una grande opera o di una infrastruttura pubblica, scoprii che gli stessi sociologi che per primi supportavano il coinvolgimento di una platea ampia di confronto in sede decisionale ne lamentavano la scarsa efficacia. Il motivo era semplice. Alle assemblee per decidere se fare un ponte partecipavano solo gli oppositori e i proponenti. Mancava la componente fondamentale: una cittadinanza critica ma super partes. O meglio, super partes ma critica. Perché, piaccia o no, sostenere davanti a due litiganti che la verità sta nel mezzo è una gran falsità. La verità sta da una parte, non può stare nel mezzo.
Da qui nascono gli inviti delle sardine. Noi ti forniamo il mezzo, facciamo il lavoro sporco, creiamo l’occasione, ma tu scegli da che parte stare, esci dal guscio dell’indifferenza, dell’indolenza, dell’omertà. L’idea delle sardine è nata nel momento in cui parte del Senato non si alzava ad applaudire Liliana Segre, nel momento in cui andava di moda chiudere i porti e si riempiva il web di filo spinato. Sette mesi dopo il Parlamento è simbolicamente occupato; il populismo soffia sul disagio, legittimo, dei commercianti; gli interessi economici tornano a prendere il sopravvento; i governatori di destra giocano a chi fa lo sgambetto più fastidioso a Conte. C’è chi urla, chi insulta, chi mistifica la realtà a proprio piacimento. E tutti gli altri? Esiste un pubblico interessato a un altro spettacolo?
Dicono che a Bologna si viva meglio che in altre città d’Italia, e che questo sia dovuto alla qualità delle relazioni umane che siamo in grado di costruire. Non ho le basi per affermarlo e non credo esista una scienza del buon senso civico, ma so che non è raro incontrare persone che riescono ad esprimere un concetto con eleganza, complessità. Anteponendo l’esigenza della collettività alla propria. L’ascolto alla prepotenza. Se così fosse Bologna diviene il luogo ideale per provare a fare un invito, proporre eventi culturali e un modo di fare politica da protagonisti. Al fine di certificare di tanto in tanto dove siamo e dove stiamo andando.
Perché alla fine si torna sempre lì. O nella politica riportiamo la dimensione etica e culturale oppure la politica rimarrà solo l’arena di istinti animali. Che si lotti per il potere o la vanità allora farà poca differenza. Di sicuro non si lotterà per fertilizzare una società che aspiri alla bellezza, nel senso non effimero del termine, o alla sostenibilità in tutte le sue forme. Continuiamo a pensare che il campo da gioco non sia ancora libero dagli ostacoli che denunciavamo mesi fa. Eppure la situazione attuale porta a pensare alla ricostruzione, al passaggio dal lento al veloce, alla memoria delle vite e delle storie perse per via del virus e delle nostre imprudenze. Prendersi cura di una società ferita non è diverso dal prendersi cura di una pianta. Riconoscere la complessità che porta ai buoni risultati non è diverso dal riconoscere la bellezza di un fiore. In queste settimane abbiamo scoperto, nostro malgrado, che per fare politica devi avere un’opinione e una soluzione su tutto. Perlomeno se vuoi fare vecchia politica. In alternativa puoi aggredire. Infine puoi creare. Per noi, riempire Piazza Maggiore di 6000 piantine equivale a creare, perché si entra in una dimensione nuova, rischiosa. Ovviamente dipendiamo dalla risposta della cittadinanza e dalla sua capacità di mettersi in gioco. Rosmarino, salvia, begonie pronte a trasformarsi in un fondo per le iniziative culturali estive, se troveranno altrettanti ammiratori. L’idea è quella di sostenere un’estate di prossimità, nei rioni, nei teatri di quartiere, dando un luogo agli artisti che oggi non sanno dove e come esibirsi. Alle famiglie e ai giovani che non sanno più come intrattenersi e ritrovarsi. Sarà un crowdfunding vegetale per click veloci: 48 ore per acquistare 6.000 piante. A partire dalle 9 di sabato 16 maggio. Sul sito 6000piantine.it.
Esiste un termine da millennials che si usa per riconoscere la simultaneità del nostro valore locale e globale. Il termine è glocal. E per quanto ricordi un detersivo anticalcare, aiuta a capire quanto le grandi rivoluzioni siano sempre partite da un luogo circoscritto, dall’incontro fortuito tra cervelli e corpi esplosivi. In molti sostengono che la nascita delle sardine sia avvenuta in un luogo non casuale. Che questa città sia attraversata da un’energia rara. Altri sono invece certi che senza il Salvini di turno una certa sinistra tenda ad assopirsi. E con lei la società che quella sinistra è in grado di esprimere solo a parole. Non siamo nessuno per decidere chi abbia ragione. Ma ci diverte lanciare la monetina di tanto in tanto. E scoprire se viene fuori testa o croce.
Dopo l’exploit di Piazza Maggiore dalle sardine mi aspetterei di più.
Ho letto l’intervento di Mattia Santori e provo a esprimere il mio sentimento. Partecipai al primo raduno delle sardine in Piazza Maggiore e come tanti tornai a casa con un “friccico ner core” (come direbbe la canzone) e un senso di speranza che il mondo fosse un po’ migliore di quello che mi appariva. Poi ho partecipato anche al secondo raduno in piazza VIII agosto e confessoche, in quell’occasione, il mio entusiasmo si era un po’ ridimensionato. Infine, come tanti, ho seguito le cronache delle iniziative delle Sardine, gli attestati di stima, le dichiarazioni di insofferenza, i plausi e le polemiche.
Ok. Ma una sera, a casa di un amico, ho avuto la possibilità di incontrare il gruppo fondatore. Mancava, tra questi, il solo Mattia che dunque non ho avuto il piacere di conoscere personalmente. Ma gli altri sì. E ti confesso che da quella serata ne sono uscito con un vago, o forse nemmeno troppo vago, senso di sconforto. Parlando con loro ho avuto la netta, chiara sensazione che non avessero nessuna idea, nessun progetto, nessuna proposta che non fosse la reiterazione dello schema riempi-piazze o di meccanismi di coinvolgimento della cittadinanza quasi fini a se stessi. Lo dico con dispiacere perché, a differenza di molti, non avevo pregiudizi nei loro confronti ed ero molto curioso di capire e scoprire come si sarebbe evoluta la loro iniziativa. Ma… ma in realtà quella sera (che seguiva di poco le elezioni regionali) ho visto dei ragazzi convinti di essere stati l’elemento decisivo nella riconferma di Bonaccini e che, in forza di questo, avrebbero potuto far valere il loro peso politico anche in future occasioni. Con una forma di presunzione e ingenuità che non poteva non destare preoccupazione. Per tutta la sera il centro della discussione non sono stati i progetti politici, ma la gestione della loro immagine, dei dissidi interni e delle beghe che si erano create col gruppo romano. Dopo averli ascoltati senza intervenire, mi sono permesso di dir loro che sarebbe stato bello, visto che si parlava di far politica, così come fa Santori nel suo scritto, che anche loro cominciassero a farlo veramente, individuando degli obiettivi precisi, spendendosi per la loro realizzazione. E non ho potuto non citare l’esperienza dei radicali, rinnovata recentemente nella vicenda di Marco Cappato e nella sua capacità di incidere concretamente, nel tessuto giuridico del nostro paese, con la sentenza con cui la Corte d’Assise di Milano lo assolse dall’accusa di aiuto al suicidio del Dj Fabo, rimasto tetraplegico e cieco a causa di un incidente stradale, e che scelse di andare a morire in Svizzera, nel 2017, accompagnato appunto da Cappato.
Insomma, bene le piazze, bene le iniziative simboliche, ma meglio sarebbe stato, se questa era la loro ambizione, cominciare a rimboccarsi le maniche e proporre e condurre lotte e battaglie capaci di avere effetti duraturi e significativi. Ma era solo la mia opinione e il mio sentimento. Poi di loro non ho più sentito parlare, fino a questo intervento che Santori ha scritto per il Cantiere. Continuo a rimanere molto dubbioso e perplesso e mi chiedo se, al di là delle belle parole (che poi non sono sempre state belle, vedi l’idea poco felice del daspo sui social network, che denotava anche una certa ignoranza della materia) questi ragazzi abbiano seriamente intenzione di fare politica oppure, e lo dico senza nessun intento offensivo, di continuare invece a fare i riempitori di piazze o i promotori di iniziative come il crowdfunding per l’acquisto di 6.000 piantine che, come progetto politico, chiedo scusa, mi sembra molto poco. Dopo sei mesi dall’exploit di Piazza Maggiore, è lecito aspettarsi qualcosa di più.