Inizia il suo decimo anno da primo cittadino in piena emergenza. Proprio come quando venne eletto la prima volta, nel 2011, agli albori della crisi economica. Ma Virginio Merola ne è sicuro: «Bologna ne uscirà migliore se nella ripartenza non dimenticherà la solidarietà e la necessità della comunità». L’importante è non arretrare, perché «la città è in un’ottima posizione per portare avanti un progetto di sviluppo sostenibile». Riguardando ai suoi anni da sindaco dice: «Vorrei essere ricordato per il bilancio. Per le tasse ridotte e le agevolazioni su mense e asili». Per le prossime comunali invita a non dare nulla per scontato e continuare a innovare. Ma chi vede come suo successore? «Smettiamola di parlare di capi. L’importante è la squadra». Bologna un modello per l’Italia? «Sono stanco che sia l’eccezione»
di Marcello Conti, giornalista
Lei ha iniziato e concluderà il suo doppio mandato in momenti di crisi. Vede delle similitudini tra ieri e oggi?
«Dal 2011 sono cambiati tanti governi: abbiamo avuto Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Conte bis. Spero di non vederne altri prima di giugno 2021. Mi auguro che tutti comprendano che ci vuole responsabilità e unità nazionale. Non riusciamo mai a convergere davvero come forze politiche per cercare di affrontare i problemi del paese: questo è purtroppo il solo dato di continuità che ho visto in questi anni. Insieme alla sottovalutazione perenne del tema dell’autonomia dei comuni e della loro capacità di fare fronte ai problemi quotidiani delle persone».
E la città? Come l’ha vista cambiare?
«Bologna è una città dinamica, che ha saputo rafforzare il suo posizionamento internazionale. Prima di questa emergenza c’erano delle questioni che stavamo affrontando, l’errore ora sarebbe non ripartire da lì. Bologna è in un’ottima posizione per portare avanti l’idea dello sviluppo sostenibile nelle sue tre declinazioni: ambientale, economica e sociale. Può farlo meglio di altre realtà perché ha aggiunto un quarto fattore: la governance sostenibile. Abbiamo fatto centinaia di accordi con le organizzazioni sindacali e della società civile, abbiamo condiviso il piano strategico metropolitano e abbiamo sviluppato per primi in Italia una nuova modalità di partecipazione, quella dei patti di collaborazione».
Di cosa, nel suo operato da sindaco, va più orgoglioso?
«Dell’aspetto che fa meno notizia: il bilancio. Abbiamo ridotto il debito da 250 a 70 milioni, aumentato gli investimenti e diminuito le tasse. Non abbiamo mai aumentato le tariffe e, al contrario, abbiamo ridotto quelle di mense e asili. Un bilancio così è un’anomalia positiva nel nostro paese».
Quale dovrebbe essere il profilo del suo successore?
«Il problema non è il mio successore, ma la squadra e la visione. C’è troppa attenzione al problema del capo: abbiamo avuto molti leader capaci di fare il capo, ma non di fare squadra. Credo quindi che per un buon sindaco sia importante non circondarsi di yes man. Le mie giunte hanno sempre avuto punti di vista differenti».
Ma è poi il sindaco a fare la squadra. E può anche prendersi la responsabilità di cambiarla in corso d’opera. È successo anche con la sua giunta.
«Certo, ha la facoltà di cambiarla, anche se questo può costare dal punto di vista delle relazioni personali. Però ci sono dei casi in cui lo si deve fare. Questa è una caratteristica dei comuni. In questo paese si parla di riforme elettorali da una vita, ma l’unica legge elettorale che funziona bene è quella dei sindaci ed è l’unica che non viene mai presa in considerazione a livello nazionale».
Teme un nuovo assalto della Lega alle prossime comunali o crede non ci sia margine di miglioramento per il partito di Salvini?
«La tornata elettorale regionale ci ha dato molto su cui riflettere. Dobbiamo continuare a stare attenti ai bacini di risentimento. Il problema non è la Lega, ma il rischio della “sindrome di Churchill”, che ha vinto la guerra ma ha perso le elezioni. Le forze di centrosinistra non devono puntare solo sul buongoverno e la continuità che c’è stata in questi anni, occorre essere capaci di innovare e guidare la città verso nuovi obbiettivi. Tutti devono comprendere che non c’è nulla di scontato».
Parlando del Pd, come giudica la segreteria di Nicola Zingaretti?
«Zingaretti ha introdotto finalmente una serenità nel fare il segretario. Si fa un lavoro di squadra, nessuno fa il fenomeno. Viene spesso accusato di stare troppo zitto, ma saper stare zitti è una grande virtù».
Il successo di altri partiti dipende anche dai messaggi molto semplici che mandano, mentre sembra più difficile per l’elettorato capire cosa propone il Pd.
«Risposte semplici a problemi complessi sono pura demagogia. Si fa presto a dire “prima gli italiani”, ma dopo che l’hai detto non hai risolto nulla. Io spero che sia evidente ai più che il nazionalismo è una grande corbelleria. Come Italia abbiamo bisogno di più Europa per uscire da questa situazione. Troppe risposte semplici ci portano a sbattere. Noi ci poniamo il tema di parlare ai cittadini senza raccontargli balle. Dobbiamo reagire alla destra con proposte praticabili».
In questo periodo, qual è la cosa che le fa più paura per quanto riguarda la città e il suo futuro?
«Ho paura di scelte sbagliate a livello nazionale. Bologna, se i provvedimenti nazionali non creeranno problemi, ha le caratteristiche per essere in grado di affrontare la situazione. Ma ci metteremo due anni a riprenderci. Bisognerà lavorare in termini di innovazione, per consolidare e rafforzare la posizione geo-politica della città. Tutti dicono “andrà tutto bene”, io aggiungo: andrà tutto bene solo se lotteremo. Ricominciare può anche significare ricominciare da capo e questa è una cosa da evitare».
Quanto si stima abbia perso il comune a causa del Covid?
«Finora abbiamo perso una trentina di milioni per mancate entrate. In questo momento siamo in attesa del famoso decreto aprile, che ormai è diventato il decreto di maggio. Se vengono confermate le cifre che ci aspettiamo, siamo in grado di garantire l’equilibrio di bilancio».
Nei prossimi mesi i cittadini avranno meno possibilità di muoversi e passeranno più tempo nei propri quartieri. Come si intende investire nelle periferie?
«Vogliamo riaprire i cantieri. L’idea generale è di lavorare in tutta la città, non solo nel centro storico. L’obbiettivo è guadagnare spazio pubblico, continuare con la manutenzione del verde e creare occasioni di incontro e convivenza. Un’idea su cui stiamo ragionando, a proposito degli spazi all’aperto in prossimità dei condomini, è di creare nuove possibilità per i nostri operatori culturali. Nulla impedisce di organizzare eventi musicali o artistici».
Come pensa di richiamare i turisti una volta finita l’emergenza?
«Per rilanciare il turismo dobbiamo specializzare ulteriormente l’offerta della città. Potrebbero tornare d’attualità cose che sembrano antiche: nulla impedisce ai comuni di fare convenzioni con gli alberghi, magari sul nostro Appennino, e che quelle che un tempo chiamavamo colonie diventino centri estivi per bambini, in particolare per quelli di famiglie in difficoltà».
E per quanto riguarda scuole e università? Non crede siano state un po’ sacrificate dal governo?
«Sì, sicuramente sono state trascurate. Ma sulla scuola è molto difficile fare degli accorgimenti per far rispettare le distanze. Ora è arrivato il momento di ricominciare a ragionarci. La cosa urgente è la consapevolezza che la didattica a distanza ha bisogno di sostegni, soprattutto per chi non se la può permettere. Quello che non bisogna sottovalutare è il rischio di approfondire le diseguaglianze tra i nostri ragazzi. Le scuole devono continuare a fare istruzione, ma anche essere strumento di promozione sociale».
Da un punto di vista umano e politico, cosa le ha insegnato questa emergenza sanitaria?
«Che non viviamo da soli, abbiamo bisogno di una comunità. Adesso scopriamo che ci sono infermieri e medici. Ma anche molti lavori essenziali, soprattutto manuali, spesso sottopagati, senza i quali non potremmo farcela. Penso alle pulizie di strade e uffici, agli autisti di Tper, agli assistenti domiciliari. Non lo dovremo dimenticare quando ricominceremo a pieno. Non solo per un dovere morale, ma perché non possiamo adeguarci a una società in cui la metà vive di rendita e l’altra è sfruttata e sottopagata.».
Si è deciso di velocizzare i tempi di realizzazione della bicipolitana. Può essere anche l’occasione per ripensare a una nuova pianificazione sostenibile della città?
«Sicuramente. Diventeremo l’area urbana col maggior numero di piste ciclabili d’Italia. I cantieri ripartono perché sono già finanziati e progettati. Vogliamo anche intervenire sul trasporto pubblico. Lo sviluppo dell’elettrico, il diesel di nuova generazione, altre iniziative come il car sharing, sono il futuro già delineato».
Come sta agendo il comune in merito al caso Zaky?
«L’ultima iniziativa è stata una lettera congiunta, firmata con il rettore, che abbiamo mandato all’ambasciatore italiano in Egitto. Continuiamo a usare tutti i canali di comunicazione che abbiamo per fare pressione. In generale, in questo periodo c’è una grande recrudescenza delle tirannie e delle limitazioni alla libertà di stampa. In Egitto, Turchia, e Cina stanno aumentando le persone incarcerate per le loro idee. Ai signori della destra italiana ricordiamo che il loro socio Orban, in Ungheria, sta togliendo libertà di stampa usando il coronavirus come pretesto. Non va sottovalutato».
A proposito: secondo lei in Italia si può parlare di un problema di libertà di stampa?
«In termini generali, la libertà di stampa in Italia c’è. Quello che non è mai affrontato e che, come sindaco, ho verificato spesso è come la precarietà nelle professioni giornalistiche sia un disastro. Il giornalista dovrebbe avere il tempo e la certezza del proprio mestiere. C’è una libertà di stampa sostanziale che dipende dalle condizioni in cui si esercita la professione».
Come sono Bologna e i bolognesi visti da palazzo D’Accursio?
«In questa fase i cittadini hanno dimostrato un’ottima capacità di reazione e di comportamento. La verità è che nessuna imposizione avrebbe funzionato senza la responsabilità individuale. Bologna è una città in parte conservatrice e in parte innovatrice. È una contraddizione positiva. In termini generali credo sia una città ancora molto capace di solidarietà e di senso di comunità. Questa è la sua vera forza».
A proposito del carattere innovativo e generoso di Bologna. Potrebbe diventare il punto di partenza per una nuova politica della solidarietà a livello internazionale?
«Noi abbiamo dato molti esempi di alternative possibili. Ma il tema non è Bologna, è il contesto nazionale. Quello che si fa a Bologna o in Emilia-Romagna meriterebbe di essere esportato a livello nazionale. È il solito discorso dell’eccezione e della regola: personalmente sono stanco di rivendicare l’eccezione. Non dico più “fate come noi”, ma “raggiungeteci se potete”. Sono anche stanco di ripetere che i comuni possono essere il miglior motore per lo sviluppo economico di questo paese».
Cosa farà una volta finito il suo mandato?
«Farò altro nella vita. Sono assolutamente convinto che la politica fatta bene sia una politica a termine. Me lo ha insegnato l’esperienza di sindaco. Per fortuna non si possono fare più di due mandati, perché poi è troppo, si rischia di diventare ingombranti e ripetitivi».
L’intervista al Sindaco di Bologna Virginio Merola è stata realizzata da Marcello Conti per Quindici, il bisettimanale di InCronaca, testata del Master in giornalismo dell’Alma Mater Studiorum
bella intervista, ottimo intervistatore, complimenti Marcello. Mancano le “domande cattive” che rendono più interessanti le interviste ma di questi tempi di cattiverie ce ne sono già anche troppe.