Dalla Patria di Roversi al Guercino e poi al primo Giovanni XXIII
La città ha un suo genius loci millenario che ci chiede ascolto. L’ultima poesia di Roberto Roversi, Patria. Una pagina da “Bologna Perlustrata” di Antonio Masini che ci porta al 1411 e alla Repubblica Popolare di Bologna. E nel 1511 il popolo in rivolta che distrugge il grande bronzo di Michelangelo che rappresentava Papa Giulio II sulla sommità della porta di San Petronio
di Gabriele Via, poeta
Terza passeggiata
Breve storia di un abbraccio difficile
Dite che l’abbiamo presa alla lontana? Non credo. Ogni anno la quercia secolare getterà nuovi germogli. La questione delle radici ha a che fare con la vitalità. Un presente vitale significa che passato e futuro stanno già comunicando. La città ha un suo genius loci millenario che ci chiede ascolto. Essere in ascolto per governare innovative declinazioni. Questo è il lavoro.
Il compito è complesso: un abbraccio che significa tenere insieme rispettando la distinzione. L’abbraccio maturo unisce ma non confonde. E il noi dell’abbraccio è ancora e sempre un tu e io. Il noi che vogliamo. L‘abbraccio in cui ritroviamo la verità storica e la strana verità dei costumi in cui le tradizioni vivono, colorandosi di mito e leggenda.
Le sofferenze collettive hanno la virtù di offrire a un’intera generazione l’occasione di meditare più a fondo su ciò che ci rende comunità. L’espressione “siamo tutti sulla stessa barca” rende bene l’idea della comunità di destino, e ora ricorre in tanti discorsi. Tra le ultime parole che Roberto Roversi lasciò appare la poesia Patria. Parola tabù nella coscienza repubblicana per via dello svilimento dalla retorica bellica fascista. Ma una parola viva, appunto, e che il poeta partigiano ha portato in cuore a lungo e con cui ci saluterà. E noi? Sapremo ragionare di Europa conservando il senso di un amor di Patria come ce lo consegnò Roberto Roversi?
Cerchiamo di conoscere chi siamo. Non solo cosa vogliamo. Ogni tanto le parole dei poeti si ribaltano nelle vicende storiche, per continuare ad avere la loro efficacia. Così Montale, antifascista, scrisse: “…codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” ma soli venti anni dopo quei versi una generazione dirà con forza, chi era e cosa voleva. Era antifascista, voleva la libertà. Sapremo abbracciare anche questo tra generazioni ed eredità?
Ma ancora e prima già eravamo eredi dei moti risorgimentali. E prima ancora dello splendore di quel XVII secolo bolognese, centro mondiale della seta, vera capitale economica e culturale, e sede di una scuola di pittura di prim’ordine da Guido Reni al Guercino. E ancor prima eredi della turbolenza civile che nel 1511 al ritorno dei Bentivoglio in città vide una sommossa popolare di tale violenza che portò alla distruzione del grande bronzo realizzato da Michelangelo Buonarroti rappresentante Papa Giulio II in trono posto sulla porta di San Petronio, cioè a dominare la piazza del popolo dalla soglia della Basilica del Comune, e non dalla cattedrale, San Pietro, nell’attuale via Indipendenza. Non è un particolare di poco conto.
Sfogliamo le cronache del Masini (Bologna perlustrata, 1666) e vedremo come già cent’anni prima, nel 1411 vi fu un tale sconvolgimento nel Comune che volle porsi (segue testuale) “in libertà, poiché morto il cardinale Corrado Caraccioli Legato, e partito di Bologna Papa Giovanni XXIII *. Si sollevò la plebe, e l’audace e temerario Pietro Cossolino Beccaro, montando sopra d’una nuda Cavalla, col suo grembiale attaccato ad un’hasta, in vece di Stendardo, cominciò à correr per Porta Ravegnana gridando, viva il Popolo, e l’Arti, e saltando fuori dalle Case li Congiurati, con le medesime grida, si inviarono alla Piazza, dove non havendo alcun contrasto, entrarono in Palazzo, saccheggiandolo, come fecero, ancora quello del Podestà, privandolo dell’Ufficio, e deposero li Magistrati della Città, facendone de’ nuovi della parte Plebea, e con danari ottennero il Castello alla Porta di Galliera che fù dalle compagnie dell’Arti fino à fondamenti rovinato. Fecero lega con Nicolò d’Este Marchese di Ferrara, con Venetiani e col Duca di Milano, e mandarono loro Ambasciatori. Furono decapitati molti Nobili, perché cospiravano contro la Republica Popolare. (…) Nel medesimo anno 1412 adi 24 Agosto, per opera di Giacomo Isolani, furono quietate le sedizioni Popolari e Bologna ritornò ubidiente alla Chiesa… “.

E ancora ci domandiamo: sapremo abbracciare questa vitale complessità?
Ma prenderemo sonno anche dopo questa passeggiata. La storia ci insegna che, come brace nella cenere, nel sonno, qualcosa non dorme mai. E al risveglio si avrà sempre sete di proseguire. Procede così la strana danza fra continuità e discontinuità.
E presto cominceremo l’ultima passeggiata.
* Giovanni XXIII. Un papato controverso, e talmente sfortunato che sarà cancellato con un tratto di penna cinque secoli dopo, quando nel 1958, Angelo Roncalli decise di assumere per sé lo stesso nome papale. Ripetendo il XXIII