Fulvio Cammarano commenta l’articolo di Volt Bologna: «L’impresa è difficile, l’abbiamo detto, ma per niente impossibile perché – come sosteneva John Maynard Keynes, il grande economista (si potrebbe aggiungere un vero economista) poco incline, come noto, alle visioni e ai lunghi periodi – “l’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre”»
di Fulvio Cammarano, storico
Cara Silvia, il tuo mi sembra un intervento importante perché proviene da una realtà organizzata che ha come obiettivo la federazione europea. Speriamo che la riflessione possa crescere ulteriormente, ma, come voi di Volt Europa ben sapete, per il progetto politico ci vuole altro. È necessario qualcosa che incanali la paura e l’ansia non verso il passato, verso il fortilizio conosciuto e ormai indebolito dello stato-nazione, ma verso orizzonti più forti e vasti. Insomma si dovrebbe far toccare con mano o quantomeno far capire concretamente come in gioco non ci siano gli ideali illuministi di qualche anima bella, ma l’interesse materiale, il vantaggio di tutti a entrare a far parte di qualche cosa che già formalmente esiste, l’Europa che oggi non è federata ma che però si dovrebbe insistere per definire “federabile”.
Se ci fosse una qualche grande pressione dal basso, l’impresa non sarebbe impossibile. In fondo quello che sta accadendo in questi giorni con la parziale, sofferta, rottura della mistica del prestito, ne è la prova. Però senza quella pressione, le aperture si richiuderanno presto perché, come è naturale, gran parte degli attuali vertici dell’Unione esistono e agiscono sulla base di mandati e interessi nazionali.
L’ondata però non la si può creare dalle cattedre o mediante il “ragionamento”, non ci sono formule magiche studiate a tavolino, bisogna insistere nel comunicare tutto questo, come state facendo voi di Volt Europa, con la consapevolezza tuttavia che la storia, non essendo una fiaba, non sempre premia le persone di “buona volontà”. La crisi, in vista di un cambiamento, bisogna avere la forza, la capacità e i mezzi per narrarla. Dunque rimboccarsi le maniche per uscire dall’assedio nazionalista-sovranista.
Personalmente, dal 2009, come si legge anche nel bell’articolo di Nicola Sbetti su Cantierebologna, sto lavorando alla proposta di utilizzare lo sport e le sue dinamiche competitive per avviare un processo identitario incentrato proprio sulla simbologia sportiva. Abbiamo scoperto in questi anni che è possibile creare una banca europea e una moneta europea, ma è quasi impossibile organizzare tornei di qualunque sport in cui giochi una squadra che si chiama Europa. Comincio a pensare che una tale difficoltà non sia casuale. Questo dello “sport che fa l’Europa” è solo un esempio di lavoro “settoriale”, dal basso: lo sport come uno degli spiragli e dei grimaldelli per far nascere l’immagine di una nazione chiamata Europa.
Lo stesso discorso andrebbe fatto individuando “settori” pilota che siano pensati e organizzati in modo da far emergere esplicitamente il profilo europeo di tante altre “squadre” possibili (la musica, la tecnologia avanzata per fare solo due esempi). Tuttavia lo sport mi sembra una pista percorribile e fruttuosa proprio perché si rivolge anche alla “pancia” oltre che al cuore delle persone, una via laterale, insomma, per cominciare a parlare ai giovani di Europa attraverso simboli “partecipati”.
C’è molto da fare e molto da sporcarsi le mani per aprire una strada che adesso sembra impervia. Ci vuole entusiasmo e ci vuole un investimento che in questo caso potrebbe venire non solo da un partito o da un investitore, ma da un’intera città. Si tratta di far leva sulle molte caratteristiche che rendono Bologna il soggetto politico, sociale e culturale più adatto all’impresa di qualunque altro.
L’Europa nasce dove c’è sostanza e consapevolezza civica. L’impresa è difficile, l’abbiamo detto, ma per niente impossibile perché – come sosteneva John Maynard Keynes, il grande economista (si potrebbe aggiungere un vero economista) poco incline, come noto, alle visioni e ai lunghi periodi – “l’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre”.
Un caro saluto,
Fulvio