Un medico in mobilitazione

Da ormai troppo tempo i giovani medici vivono una situazione di precarietà professionale, ignorati dai media, mentre la politica sembra non essere in grado di porre rimedio. Per questo, terminata l’emergenza che ha ovviamente coinvolto anche loro, hanno deciso di scendere in piazza e far sentire la loro voce

di Kevin Valentino, medico-chirurgo


Avere impegni importanti significa per me alzarmi di buon’ora, solitamente prima della sveglia. Non capisco però come riesca a ritrovarmi sempre in ritardo, pur svegliandomi con due ore di anticipo: deve esistere per forza di cose un buco spaziotemporale tra il water e i cereali, altrimenti non si spiegherebbe come quelle due ore diventino quindici minuti, mentre mi lavo la faccia; in realtà, quei quindici minuti dovrebbero essere considerati dieci, in quanto mi rifiuto di uscire di casa se non defeco dopo colazione.

Anche oggi sono in ritardo. E c’è un tempo di merda. La giornata giusta per una manifestazione.

Mi infilo in macchina e decido che non vale la pena guidare come un pazzo per recuperare qualche minuto: meglio rispettare i limiti per accumulare ancora più ritardo e avere tutto il tempo necessario per inventare una buona scusa.

Arrivo a Bologna. Parcheggio. E c’è un tempo di merda.

Mi incammino verso Piazza Maggiore e penso che l’ennesimo sciopero degli autobus possa essere un valido motivo per l’ora e un quarto di ritardo.

Raggiungo le Due Torri. E c’è un tempo di merda.

Per farmi ricordare chi comanda, Madre Natura decide di scatenare gelide raffiche di vento e secchiate d’acqua. Infreddolito e fradicio, con le scarpette di tela inzuppate nelle pozzanghere, perché oltre ad essere un ritardatario, sono rinomato per la furbizia, mi si apre davanti la vastità di Piazza Maggiore.

E all’improvviso dimentico tutto. Dimentico l’acquazzone, il freddo, le nuvole, il traffico, il buco spaziotemporale e il ritardo. In realtà, faccio solo finta di dimenticarmi del ritardo. Emozionato e stupito, vesto il camice bianco e prendo posto in mezzo alle centinaia di amici e colleghi che oggi hanno deciso di scendere in piazza perché stanchi.

Stanchi della gestione scellerata del nostro bene più prezioso: il Sistema Sanitario Nazionale.

Stanchi di non essere considerati dalla politica per quello che siamo: una risorsa insostituibile. Stanchi di essere trattati come bambini sognanti: vero, caro Ministro?

Stanchi di essere considerati ragazzini ingrati e studenti, invece di adulti e professionisti.

Stanchi di essere obbligati a vivere in un limbo di precarietà e impossibilità di realizzazione professionale.

Stanchi di essere sfruttati per quattordici ore al giorno in cambio di due spicci, senza riconoscimento di straordinari e guardie.

Stanchi di non avere garanzie di una formazione specialista aperta a tutti i medici, di qualità e uguale dal Brennero allo Stretto di Messina.

Stanchi di dover abbandonare le nostre famiglie, i nostri amici e il nostro Paese per emigrare verso un futuro migliore e dignitoso.

Siamo semplicemente stanchi. E lo siamo contemporaneamente in ventuno piazze di Italia, da Nord a Sud fino alle Isole.

La manifestazione si conclude. Forse riusciremo ad essere ascoltati: il MIUR ci esorta a inviare una delegazione di rappresentanti per affrontare in dettaglio le problematiche per cui siamo scesi in piazza, mentre l’Assessore alle politiche per la salute dell’Emilia-Romagna ci raggiunge in piazza per ricevere un dossier da inviare all’attenzione della Conferenza Stato-Regioni.

Forse riusciremo a smuovere qualcosa. Dopo qualche ora, escono i primi articoli online e veniamo addirittura menzionati da The Guardian e Le Figaro!

Ne rimango sorpreso. Ma rimango ancora più sorpreso perché, a differenze di diverse testate internazionali, nazionali e locali, i telegiornali nostrani non spendono una parola su di noi. Perché la nostra manifestazione ha più visibilità in Inghilterra e in Francia e non in Italia? Perché questi avvenimenti non fanno notizia tanto quanto i litigi e i piagnucolii di ritardati che cercano goffamente di aggrapparsi ad ogni millimetro della propria poltrona, per non cadere nel dimenticatoio?

La manifestazione è andata bene, ma a quanto pare non c’è abbastanza interesse per parlarne. E dire che dovrebbe interessare i cittadini in primis: noi medici possiamo ben sfruttare le nostre braccia per zappare la terra e avere comunque la pancia piena; voi cittadini, invece, non potete permettervi il lusso della scelta, o vi fate curare dai medici o non ci sarà nessuno a prendersi cura di voi. Non mi sembra troppo complicato.

Immerso nei miei pensieri rivoluzionari e nel gelato al pistacchio, arrivo a sera. Ricevo un messaggio da un mio vecchio e caro amico di liceo, che chiamerò Scimmia Banana, sia per l’aspetto fisico, sia per la passione di lanciare pensieri e idee a forma di merda.

Devo ammettere che si tratta di un messaggio alquanto confuso: tralasciando i complimenti per la manifestazione, mi parla di fermare in qualche modo tali “vaccinatori seriali”, aggiungendo un’emoji di un dito medio. Non sono sicuro a chi sia rivolta, se a me o a loro. Provo comunque ad illustrare i motivi della nostra mobilitazione, ma ci avventuriamo ben presto nell’argomento ostico dei vaccini: scopro che, in attesa della nascita della figlia (che ansia! Era il mio compagno di banco al biennio), a detta sua da completo ignorante, si è “informato” in materia di vaccini, probabilmente vendendo anima, neuroni e portafoglio a qualche setta di ciarlatani.

La giornata non poteva concludersi meglio: una lunga conversazione con il mio primo paziente novax.

Che emozione, finalmente mi sento un vero medico!


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