Guidone: è dura esser donna in politica

Partiamo svantaggiate, ma non bisogna recedere. Comunque per me il sindaco lo può fare anche un uomo, purché non sia affetto dalla sindrome della primadonna

di Barbara Beghelli, giornalista


La sindrome della primadonna è l’equivalente di satana in politica, per Luisa Guidone, presidente del Consiglio comunale. In ogni caso quando parla in aula e dirige i lavori, il diavolo, dovesse far capolino, scappa. Ha un timbro di voce così fermo e netto che si potrebbe spaventare perfino lui.

Di origini calabresi, moglie di un ingegnere lucano e madre di Riccardo, si è laureata in Giurisprudenza con una tesi sul ruolo delle donne nel pontificato di Giovanni Paolo II, un segnale di quello che avrebbe intrapreso poi: la battaglia di genere. In quel periodo Luisa era anche a capo del movimento studentesco, poi è arrivata all’ufficio legale di Asp infine è approdata, oramai un lustro fa e a soli 33 anni, alla Presidenza del Consiglio comunale (oltre 1000 preferenze). Di poche parole e molto rispettata, ultimamente ha vissuto due episodi che l’hanno amareggiata.

Cominciamo dalle cronache. Una consigliera della Lega che le risponde “Basta lo dice poi a sua sorella” è stata espulsa e la seduta sospesa. La volta dopo ha dovuto richiamare all’ordine un civico di centrodestra in videoconferenza dalla sdraio di una spiaggia abruzzese. Oggi c’è qualcuno in costume o che invoca i suoi fratelli?

“Per fortuna no. L’obbligo di utilizzare l’online e potersi connettere da casa hanno portato a questi due accadimenti, ma sono stati gli unici in 4 anni. Io però ho il dovere di far rispettare le regole. Non essendo necessaria la presenza in aula ma il decoro e il rispetto sì, posso solo dire che ho fatto il mio dovere. Se c’era un uomo al mio posto faceva uguale”.

Non è stato semplicissimo questo periodo, soprattutto da presidente.

“No, ma è stato svolto un ottimo lavoro, giuridico e informatico. Abbiamo creato una nuova modalità, un software che ha permesso ai consiglieri di ricevere il link sul telefonino. Ti connetti e voti da questa applicazione, superando l’appello nominale, che faceva perdere un sacco di tempo. Oltretutto siamo stati i primi in Italia ad acquistarlo”.

Riprendete in aula, dal 29 giugno, ma non si poteva iniziare prima?

“Abbiamo votato e a parte il consigliere Venturi (Insieme Bologna) si sono pronunciati tutti a favore, quindi dalla prossima settimana il sistema sarà misto: chi per ragioni di salute non potrà presenziare, seguirà con l’online. Gli altri tornano in aula. Ma mi permetta di dire una cosa, al di là del voto odierno”.

Prego

“Esserci fisicamente è già un messaggio politico ed è molto importante. Il Consiglio comunale non è una riunione aziendale e quando vedi che piazza Maggiore ricomincia ad essere utilizzata da settimane mentre tu sei a casa, beh è negativo. I bolognesi devono poter venire a Palazzo a tirarci i pomodori, se vogliono. Ne hanno tutto il diritto. Ma noi dobbiamo esserci”.

A lei non manca di certo il carattere, ho ben a mente i suoi interventi. Ma com’è essere donna in politica oggi?

“È dura (lo ripete tre volte). Partiamo svantaggiate ma non bisogna recedere. La prima cosa da fare è evitare le primedonne. Sono dannose, va lasciato spazio anche alle altre. Ma la sindrome colpisce anche gli uomini, compreso qualche candidato del PD. Quindi per me il sindaco lo può fare anche un uomo, purché non affetto da questa sintomatologia. Per quanto riguarda me, anche nei momenti in cui mi sono dovuta imporre, l’equilibrio non è mai mancato. Certo, fossi stata uomo avrei fatto molta meno fatica perché noi siamo sottoposte a pregiudizi e certi incarichi rimangono di dominio maschile”.

Cathy La Torre, candidata a sindaco, ha qui annunciato la Bologna che vorrebbe: una comunità che riscopre la forza dei legami, un’idea di giustizia chiara con al centro i più deboli. Cosa ne pensa?

“Il fatto che una donna si sia proposta e abbia espresso le sue idee è ottimo, che una candidata inizi a parlare di contenuti, sempreché ci siano, apprezzabile. La competizione dev’essere vera, sennò non ha perché”.

Ha voluto dare un’impronta più femminile all’assemblea di Palazzo d’Accursio, è così?

“Ho cercato, sì. Ho introdotto molta dialettica e condivisione. Per me è questa la strada”.

Altre ricette rosa?

“Combattere l’individualismo e non essere in soggezione nei confronti dei colleghi, dunque accondiscendere per definizione. E fregarsene se ti danno della isterica, tanto sono solo provocazioni”.


Rispondi