Le statue, le piazze e l’esuberante vivacità della città / Prima parte

Ai giardini Margherita, una volta entrati da porta Santo Stefano, ci si trova presto a un bivio. Il visitatore assai raramente avrà contezza di trovarsi in Largo Vittorio Emanuele II, l’ispido suocero della regina d’Italia amica di Carducci, alla quale, proprio così come la pizza da parte della città partenopea, furono dedicati per l’appunto questi giardini cittadini dalla municipalità dell’etrusca e barbarica rossa e turrita città 

di Gabriele Via, poeta


Mondo Maurilia: delle piazze, delle statue e del misterioso principio del GattopardoScrive Calvino in una delle più celebri pagine de Le città invisibili: “Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l’accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei. È vano chiedersi se essi sono migliori o peggiori degli antichi, dato che non esiste tra loro alcun rapporto, così come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa”.

Ai giardini Margherita di Bologna, una volta entrati da porta Santo Stefano, ci si trova presto a un bivio. Come in molti giardini pubblici cittadini la toponomastica prosegue anche dentro il parco, ma si tratta di quella parte di tassonomia urbana maggiormente ignorata dalla coscienza collettiva. Il visitatore, autoctono più ancora che turista, assai raramente avrà contezza di trovarsi in Largo Vittorio Emanuele II, l’ispido suocero della regina d’Italia amica di Carducci, alla quale, proprio così come la pizza da parte della città partenopea, furono dedicati per l’appunto questi giardini cittadini dalla municipalità dell’etrusca e barbarica rossa e turrita città, già e ancora, allora, fermento operaio di discreta e temibile vivacità civile. 

E dunque, non appena entrati ai giardini Margherita da porta Santo Stefano ci ritroveremo in largo Vittorio Emanuele II e lì, vedremo, sorge l’imponente bronzo equestre, opera di Giulio Monteverde collocato su un massiccio basamento di granito.  Si tratta del ritratto plastico del suocero della padrona di casa, messo a pensione qui in giardino dopo che dal 1888 al 1944 stazionò niente meno che in piazza Maggiore (piazza che – va detto – per tutto il tempo di tale parcheggio portò pazientemente lo stesso nome dello sprezzante cavaliere, manifestando un’invidiabile resilienza), il culo rivolto al palazzo del Podestà e a dritta la facciata di San Petronio. 

Torniamo così alla pagina di Calvino, a quella Maurilia compendio e assimilazione perfetta della più sottile consapevolezza storica, come se Marc Bloch stesso fosse divenuto poeta. 

Oggi, questa statua pare non essere interessata dalla sconsiderata iconoclastia che rapidamente ha percorso il pianeta in pochi giorni, dopo il brutale assassinio di George Floyd.

Ne scrivo quindi con timore. Poi, consapevole che tutto sommato non ricevendo in genere che pochi sguardi distratti quando scrivo convinto inspiegabilmente di offrire un contributo a un dibattito cittadino, proseguo nel farlo senza mettermene più di tanto, e ragiono a partire da questa importante opera che ha svolto un ruolo di propaganda di non poco conto, nel tardo Risorgimento e in tutta la stagione delle magnifiche sorti e progressive, fino alla fine dell’era fascista.

Dall’età comunale e fino all’espansione umanistica osserviamo, nel più meraviglioso museo a cielo aperto che si chiama Italia, come la piazza, nelle sue principali declinazioni d‘uso: cerimoniale religioso, mercato, potere politico, avesse due cuori pulsanti: la fontana, e la loggia.

La fontana era ed è un‘opera straordinaria che in sé tiene ancora unite quelle tre declinazioni: l’acqua è vita per la comunità, e il potere che ben la amministra fa il suo dovere e può farsi amare o meno dal popolo. L’acqua è anche un potentissimo simbolo religioso: dal punto di vista liturgico il cristianesimo origina dal battesimo e Cristo in croce verrà ferito nel costato, e da quel costato uscirà acqua.

L’acqua è necessaria nella piazza del mercato. Le fontane divengono poi opere d’arte, cariche di bellezza e ricche di linguaggi allegorici (una per tutti la Fontana Maggiore di Perugia) in cui si continua a raccontare una storia mentre lo scorrere eterno delle acque segue il suo corso ­– come trovando armonia fra natura e cultura, potremmo dire noi osservatori postmoderni – La loggia offre uno spazio pubblico, aperto ma coperto, libero, perché le persone siano protagoniste dello spazio. 

Poi – la natura umana va da sé – troveremo combinazioni fra logge e fontane, combinazioni fra diversi usi e ruoli delle stesse piazze secondo calendari precisi. Ma anche piazze deputate a scopi esclusivi. Tipica è la Piazza delle erbe, toponimo di larghissima diffusione in Italia, con le varianti di Piazza Mercato.

Dall’era moderna in poi, da quando cioè dopo la Riforma la società europea muta volto in un travaglio civile, religioso, tecnologico e geografico che in una continua accelerazione ci porterà alla rivoluzione Francese e da lì, poi, nel concomitante travaglio di tensioni civili ed economiche determinate anche dalla rivoluzione industriale, alle soglie dell’oggi, vedremo che uno degli strumenti con cui il potere fa propaganda nelle piazze diverrà la statuaria.

Gli antichi usavano la statuaria dagli obelischi alle colonne fino a rappresentazioni antropomorfe. È ben noto. Ma la cristianità, salvo il crocefisso, e il sarcofago funebre con la statua sdraiata del defunto, ha avuto una sua lentezza a fare proprie le statue, ridotte a motivi minuti e decorativi entro le strutture architettoniche degli edifici che sbalzavano come basso e alto rilievi ad opera dei più abili scalpellini del mondo.  O integrati dentro funzioni architettoniche rigide ed esplicite, come le cariatidi classiche o i leoni o animali mitologici messi sulle soglie a monito. Tutto ciò documenta quel diverso passo rispetto all’uso della pittura, certamente fondato dal tema teologico dell’idolatria. Per cui una immagine dipinta è più ideale di un corpo solido (detto così in modo ingiustamente sbrigativo).

Ma da Donatello a Michelangelo e da Bernini a Canova assisteremo ad una vera e propria esplosione della statuaria che andrà a confrontarsi con la concretezza del corpo umano nel suo darsi naturale in forme e dimensioni raggiungendo esiti di pura… (veramente non ci sono parole per dire cosa hanno raggiunto il ratto di Proserpina o l’abbraccio con bacio dati non dato di Amore e Psiche. Vedete un po’ voi… Estasi, meraviglia, eccellenza, ogni parola non basta.) 

Sullo sfondo di questa esplosione statuaria il volto culturale, civile, economico e religioso italiano ed europeo, cioè – intendendo il percorso storico – della cristianità, si lancia in accelerate formidabili trasformazioni. Basterà solo pensare allo sfondo storico sociale di Bernini, rispetto a quello di Canova. 

Bologna sarà protagonista nel 1511 di un momento di iconoclastia di portata formidabile. Lo raccontammo già in un altro intervento, oggi tuttavia, visti gli eventi, non sarà inutile ripercorrerne alcuni aspetti. 

Il grande bronzo di Michelangelo rappresentante il Papa in trono (si ricordi che la cosa manifestava una inedita superbia umana: poiché un conto è una statua della Madonna col cristo deposto in grembo, un conto è una statua per la tomba di un Papa, ma altra cosa è la statua colossale del Papa regnante esposta in piazza, se pure aggrappata sopra l’ingresso della basilica di San Petronio) ebbene questo colossale – e dobbiamo presumere meraviglioso – bronzo verrà rovinato al suolo e fracassato dal popolo di Bologna. Era il 30 dicembre 1511. Non credo che sia stato bruciato nessun vecchione la notte dopo. (SEGUE).


Rispondi