Non c’è solo la Maccaferri a preoccupare: qualcuno approfitta della crisi Covid per aggirare il blocco dei licenziamenti. Altri imprenditori, dopo averlo denigrato per decenni, ora scoprono che “pubblico è bello” e lucrano sulla cassa integrazione usata impropriamente per 2,7 miliardi, 600 volte il costo di chi ha preso il reddito di cittadinanza senza diritto. Da 30 anni è in corso una rapina a danno dei lavoratori: questa crisi può essere l’occasione per ristabilire giustizia sociale
di Cathy La Torre, avvocata e attivista dei diritti umani
Le notizie dei lavoratori che stanno rischiando di perdere il lavoro a Bologna si susseguono e preoccupano molto.
Ogni storia ha la sua peculiarità, la crisi del gruppo Maccaferri che rischia di travolgere circa 500 famiglie, ad esempio, è precedente al Covid e mi auguro che il tavolo convocato il 5 agosto in Regione offra delle soluzioni alla mancanza di liquidità che potrebbe mettere in pericolo anche le attività ancora sane del gruppo.
Ma fa invece molta rabbia leggere delle manovre messe in atto da alcune catene di moda a basso costo che, per aggirare il blocco dei licenziamenti, hanno deciso di trasferire decine di dipendenti in altre sedi lontane dal loro luogo di residenza.
Alcuni di questi lavoratori hanno giustamente impugnato questi trasferimenti apparentemente strumentali: grazie ai sindacati si è arrivati in alcuni casi a una conciliazione che prevede incentivi all’esodo ma anche l’impegno dell’azienda a riassumere il lavoratore qualora dovesse riaprire il punto vendita a Bologna. Non tutte le aziende purtroppo hanno accettato questa clausola e ciò fa temere che si tratti di licenziamenti mascherati per poi poter usufruire degli sgravi fiscali per nuove assunzioni di cui si sta parlando in questi giorni. Il governo dovrebbe secondo me predisporre adeguatamente lo sgravio in questione per prevenire questo tipo di truffe ai danni delle casse pubbliche.
Sarei anche curiosa di sapere se queste multinazionali hanno usufruito dei fondi pubblici Sace concessi ad aziende che si impegnavano a mantenere determinati livelli occupazionali.
Un altro dato che ci aiuta a comprendere il quadro in cui ci muoviamo, ben diverso da quello descritto da Confindustria, è quello della cassa integrazione usata impropriamente per Covid che ci è costata 2,7 miliardi di euro in pochi mesi.
Si tratta di una cifra pari a 600 volte quella incassata da quelli che usufruivano del reddito di cittadinanza senza averne diritto nell’intero 2019 (4,5 milioni).
Mentre quindi si accusano i lavoratori di succhiare risorse che secondo gli industriali devono andare solo nelle loro tasche, si scopre che decine di migliaia di imprenditori, folgorati improvvisamente sulla via del “pubblico è bello” dopo averlo denigrato per decenni, hanno truffato lo stato, cioè tutti noi, per arricchirsi a scapito della collettività.
È giunto il momento di pretendere il rispetto delle regole non solo dalle classi sociali più svantaggiate, dai deboli che vivono nelle periferie (Galli della Loggia dixit) ma anche dai potenti e di dire le cose come stanno: è in atto da 30 anni una rapina ai danni dei lavoratori e questa crisi è la nostra ultima possibilità per ristabilire giustizia sociale tramite un ruolo protagonista dei lavoratori e dello Stato.
Cioè di tutti noi.