Il martirio dimenticato dell’eroe antifascista Anteo Zamboni

Nel 2021 ricorrono i 95 anni dall’attentato fallito al Duce, compiuto tra via Ugo Bassi e Piazza del Nettuno, attribuito con residui dubbi al 15enne poi bloccato dal padre di Pasolini e trucidato dagli squadristi a coltellate. Sarebbe ora che la sua vicenda, offuscata da una lapide consunta e messa in un luogo sbagliato e dall’attribuzione di una “viuzza” dietro Porta san Donato, fosse ricordata come merita: la ribellione, presunta, di un adolescente alla tirannia

di Angelo Rambaldi, “Bologna al centro”


All’angolo fra via Ugo Bassi e la piazza del Nettuno, sul lato di quest’ultima, vi è una lapide nemmeno tanto visibile che il tempo ha usurato. Ecco il testo: «Congiuntamente onorando i suoi figli eroi immolati  nella ventennale lotta antifascista con questa pietra consacra nei tempi Anteo Zamboni per audace amore di libertà il 31 ottobre 1926 qui trucidato martire giovanetto degli scherani della dittatura».

Alle   17,40 di domenica 31 ottobre l’automobile guidata dal Ras del fascismo bolognese Leandro Arpinati – sui cui sedili posteriori vi era Benito Mussolini – rallentava per voltare a destra, da via Rizzoli a via dell’Indipendenza, in quel momento partì dalla folla un colpo di pistola, dal tiro abbastanza preciso. Il proiettile colpì il cordone dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro che Mussolini indossava a tracolla, perforò il bavero della sua giacca, attraversò il cappello a cilindro del sindaco Umberto Pupilli, a fianco di Mussolini, e si conficcò nella portiera: il Duce era rimasto illeso.

Il tenente  di fanteria Carlo Alberto Pasolini (il padre del poeta, regista e scrittore) credette di individuare l’attentatore in un giovanissimo, il 15enne Anteo Zamboni, e lo bloccò, ma un nugolo di squadristi, fra cui arditi milanesi capitanati da Albino Volpi e dai bolognesi guidati da Arconovaldo Bonaccorsi, sottrassero al Pasolini il ragazzo e lo linciarono con 14 pugnalate.

Le testimonianze furono controverse, a cominciare da quella di Mussolini che parlò di un uomo vestito di bianco. Farò qualche cenno e rimando all’opera a mio avviso migliore, il libro edito dal Mulino nel 2000 dal titolo eloquente “Attentato al Duce. Le molte storie del caso Zamboni”. Le tesi furono due. La prima: si trattava di un attentato dell’estremismo fascista, anche perché da alcune questure erano arrivate a Bologna segnalazioni di movimenti contro Mussolini da quegli ambienti. La seconda: nella famiglia del giovane vi era il padre di milizia anarchica, pur amico di Leandro Arpinati (pure lui anarchico agli inizi di “carriera”) e la sorella della madre di Anteo era una combattiva antifascista.

Arpinati sostenne sempre con forza presso lo stesso Mussolini l’innocenza del ragazzo e della famiglia. Le indagini sull’estremismo fascista furono affidate al capitano dei carabinieri Giovanni Cannone, che tuttavia poco dopo fu esautorato. Così come la competenza passò dal tribunale ordinario, che per al verità trovò ben poco a carico della famiglia e del ragazzo, al Tribunale speciale da poco instaurato. L’avv.Roberto Vighi, socialista che nel dopoguerra sarà presidente della Provincia, si batté come un leone per l’innocenza di Zamboni. Ai primi anni ’30 la famiglia fu scarcerata. Nel dopoguerra, il che è naturale, il padre di Anteo, che in periodo fascista ne aveva sostenuto l’innocenza, dopo il 1945 ne sostenne il martirio per il tentato tirannicidio. Renzo De Felice nel suo monumentale lavoro su Mussolini e il fascismo sostenne l’impossibilità di attribuire con certezza l’attentato. Brunella Della Casa, incerta, alla fine si sbilanciò: «Se è pur vero che spesso la verità è più banale e più evidente, è altrettanto vero che a volte essa si nasconde alla nostra ragione, ovvero è la nostra ragione che, per paura, arretra  e si nasconde».

Nessuno vuole mitizzare il tirannicidio, tuttavia alla figura di questo quindicenne che nella sua cameretta, per le brutalità e la violenza fascista, decide di  eliminare il dittatore, non si può guardare che con rispetto ed emozione.

Ma, qui sta il punto, dal dopoguerra nelle celebrazioni resistenziali il poco più che bambino sparì, gli fu intitolata una stradina insignificante (Mura Anteo Zamboni, verso Porta San Donato: non si pensi alla via dell’università) e fu posta una targa dal lato opposto e sbagliato del luogo del martirio. Nel 1977 fu fatto uno sceneggiato televisivo e scritto qualche libro, ma fu soprattutto con il successo editoriale  di Brunella Della Casa col suo “Attentato al Duce” che la tragica vicenda tornò a riavere interesse. Fu anche merito di Marco Macciantelli, nel 2000 assessore alla Cultura in provincia, se il dibattito sul supposto (?) tirannicida tornò d’attualità.

Nel 2021 saranno 95 anni dal martirio: sarebbe ora che la lapide che lo ricorda fosse posta dal lato giusto dell’incrocio. Il Cantiere, che mi ospita, e noi di “Bologna al Centro-l’Officina delle Idee” potremmo  promuovere un incontro per ricordare il martire ragazzino.


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