Casanova a Bologna contestò due docenti in difesa delle donne

Il racconto del soggiorno in città dell’avventuriero veneziano e della sua disputa sulla natura dell’utero apre le porte del Cantiere a “C’era una volta sotto le Torri”, rubrica dedicata alla storia della nostra comunità e ai suoi innumerevoli, spesso insospettabili protagonisti. Al celebre “cittadino d’Europa” andrebbe dedicata almeno una targa là dove visse

di Angelo Rambaldi, giornalista


Nella primavera del 1772, Bologna fu teatro di un disputa erudito-letteraria avente come argomento la “natura delle donne”, tema purtroppo malamente dibattuto sia prima sia dopo quella data e che ancora ai giorni nostri si manifesta attraverso un maschilismo insolente. I protagonisti di questa contesa anatomico-filosofica furono due professori dell’Università di Bologna e, come terzo insospettabile, Giacomo Casanova.

Il veneziano – “cittadino d’Europa” come lo definì Massimo Cacciari – era giunto a Bologna  alla fine del 1771, proveniente da Firenze. Era già  stato in città nel 1744 e nel 1761, entrambe le volte per poche settimane, mentre in questo suo terzo passaggio si intratterrà  per ben otto mesi. “Del resto – scriveva lui stesso nella sua grande opera Storia della mia vita – non esiste  in Italia  una città dove si possa vivere con  maggior libertà che a Bologna”.

Così Casanova presenta la Bologna senatoria pontificia, e certo lui di “libertà” se ne intendeva. Andò ad abitare nella casa, ancora esistente, in angolo fra via Galliera e l’attuale via Volturno, allora via di mezzo San Martino. E proprio in questa strada c’era una libreria gestita dall’abate Taruffi, una persona, come ci racconta Casanova, amabile e colta. Fu l’abate libraio a segnalargli due volumetti da poco usciti ad opera dei due professori universitari, anticipando il suo giudizio non benevolo ma assicurandogli che le teorie sulle donne dei due autori lo avrebbero fatto ridere.

Il primo volumetto mirava a dimostrare che si debbono perdonare gli errori che commettono le donne, perché essi “sono causati dalla matrice che fa agitare la loro volontà”, ovvero il collegamento fra l’utero e il cervello. Il secondo volumetto, pur dicendosi d’accordo con la “natura animale” dell’utero delle donne, contestava il collega perché a suo dire “l’utero animale” non può niente sulla ragione delle donne, giacché la ricerca anatomica non ha mai trovato il più piccolo canale di comunicazione  fra “il viscere ed il vaso del feto” e il cervello.

I due professori contendenti erano Petronio Antonio Zucchini e il più celebre Gaetano Azzoguidi. Il primo fu professore di anatomia dell’ateneo bolognese dal 1770 al 1772, il secondo fu professore di fisiologia ed anatomia comparata e insegnò all’Università di Bologna per tutta la durata della sua carriera accademica lasciando in eredità, a parte l’“infortunio” del volumetto di cui stiamo parlando, anche alcune opere di notevole valore. Una volta letti i due trattatelli, Casanova decise di scendere in campo polemizzando e respingendo le teorie di entrambi i professori, con una confutazione che già dal titolo – Lana caprina – non lasciava spazio a mistificazioni o fraintendimenti…

Come ha scritto il grande casanovista Piero Chiara “all’opuscolo di Casanova va riconosciuta un’accurata documentazione, insolita per quei tempi, che dimostra una certa dimestichezza con i testi scientifici”. Ma soprattutto, Casanova lascia trasparire nel suo volumetto una intuizione/previsione  dell’evoluzione della medicina, così come avverrà di lì a poco. Certo lo fa pur senza portare prove scientifiche, ma nel rifiuto  delle convinzioni dei due professori, in merito all’“utero animale”, dimostrò molto maggior rispetto e attenzione per le donne di quanto ci si potrebbe aspettare da un uomo con la sua fama.

Scrive Casanova nelle sue memorie che riuscì a vendere 400 copie della sua “confutazione” alle teorie dei due professori, un risultato certamente encomiabile. Ma l’attenzione editoriale sulla vicenda che qui ho raccontato non si è esaurita nel XVIII secolo, e anzi perdura ancor oggi. A chi fosse interessato, oltre al volume III di Storia della mia vita (Mondadori, collana I Meridiani), suggerisco L’intreccio. Casanova a Bologna. Storie di un avventuriero e di una città ospitale, imperdibile lavoro di  Sandro Pasqual per MobyDick edizioni. 

Dopo Bologna, Casanova vivrà ancora 26 anni  (morirà a Duchcov, in Boemia, nel 1798), ma il soggiorno bolognese sarà, in un certo senso, la sua ultima recita. Come autore infatti non ebbe mai grande fortuna nel nostro Paese, schiacciato prima dall’ostilità dei “galantuomini”, poi della sinistra “radical liberal” e della destra figlia del carducciannesimo nazionalista, entrambe legate al loro puritanesimo moralistico e “giacobineggiante”.

Nonostante questo, al veneziano si devono, oltre a Storia delle mia vita, molte altre opere fra cui pure un romanzo di fantascienza e una traduzione dell’Iliade che nulla ha da invidiare a quella del Monti. Tutte scritte rigorosamente in francese, che era l’inglese di allora. E forse per tale ragione nella Biblioteca Nazionale di Parigi, accanto alle opere autografe del grandi Pascal, Voltaire, Proust ecc. ecc. c ‘è pure Casanova. Per questo e per quanto ho fin qui raccontato, una piccola targa in ricordo del suo soggiorno bolognese, nella casa in angolo fra via Galliera e via Volturno, io credo che ci starebbe bene.

In copertina: Ritratto di Giacomo Casanova, di Anton Raphael Mengs (1728-1779)


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