Raffaela Bruni: Bologna ok, ma è troppo concentrata sul centro

Ha diretto il Dipartimento Lavori pubblici, Mobilità e Patrimonio del Comune. Le piace il people mover, meno il Passante

di Barbara Beghelli, giornalista


Quando si è laureata in ingegneria civile sezione edile, nel 1977, le corsiste erano cinque, compresa lei: Raffaela Bruni. Stava cambiando la legge urbanistica stravolgendo il diritto a costruire per mettere al centro di tutti i ragionamenti il Pubblico e fu così che la giovane ingegnera, carpigiana d’origine, iniziò il suo percorso in un periodo assolutamente innovativo, in cui la legge sui suoli stravolgeva la logica imperante.

A capo del Dipartimento Lavori Pubblici, Mobilità e Patrimonio del Comune di Bologna fino al 1 giugno, entrò a Palazzo d’Accursio nel 1984 vincendo il concorso per ingegnere tecnico, 36 anni di onorata carriera. Una delle prime donne dirigenti, una pioniera a tutti gli effetti a cui il Direttore Generale ha appena dato una determina per lavori strategici sulla gara del gas “per individuare il gestore, affare lungo e complicato”. È un’enciclopedia di racconti, Raffaela. Mamma di un ragazzo che fa il dottorato in Matematica a Nizza, emana sapere garbato, intrecciato alla gentilezza, all’umiltà e a una grande simpatia.

Altro che pensionata: lei lavora più di prima.

“Consulente per un anno, dirigente per 36. Si fa quel che si può”.

Ma da piccola sognava di lavorare in cantiere?

“Da bimba giocavo con i Lego, scatoloni di costruzioni, che allora erano di pochi colori: bianco, rosso e blu. Facevo le casette e poi mio padre, che era un maestro, non mi regalava altro. Forse voleva un maschio, ma è andata bene lo stesso, dai (ride)”.

Le aziende, allora, preferivano gli uomini.

“Ho avuto un percorso pubblico, meno ostile del privato. Dopo la laurea ho messo su uno studio, poi ho lavorato qualche anno in una cooperativa edile in cui l’ambiente era progressista e alla fine ho vinto il concorso in Comune”.

Lei ha lavorato con un buon numero di sindaci. Quale le è piaciuto di più?

“Premesso che quando arrivò Guazzaloca mi spostarono all’Urbanistica, non si sa perché, posso dire che con Vitali ho lavorato benissimo. Con Cofferati, con cui tornai a fare la direttrice dei Lavori Pubblici, si ricevevano delle indicazioni ‘alte’: linee significative da tradurre. Era un capo distante ma aveva le idee molto chiare, soprattutto su due-tre cose. Con Merola si lavora in squadra, cosa importante, oltre che edificante. Gomito a gomito, giorno dopo giorno, si è sempre prodotto un lavoro altamente qualificato e qualificante. Imbeni non l’ho conosciuto”.

I fiori all’occhiello del suo lavoro pubblico.

“Sono orgogliosa di avere contribuito in prima persona al museo di Ustica, l’ho curato io il progetto, insieme con i miei collaboratori. Poi ho seguito il Mambo e il comparto del Cavaticcio, un cantiere lungo e difficile dove c’è ancora qualche problemino”.

Le piace il people mover?

“Spero che parta presto”.

E il Passante?

“Mi lascia un po’ perplessa, approfondirei ancora alcune cose. Lo ritengo un compromesso rispetto all’idea iniziale”.

Mobilità a parte, a Bologna va tutto bene? Cosa manca?

“Dal punto di vista tecnico tutto sommato le cose non vanno male, anche se la vivacità delle iniziative è ancora quasi tutta in centro e le periferie sono poco valorizzate. Bisogna dare sfogo alla territorialità, ecco”.

Merola finisce il mandato a giugno. Idee sulla prossima sindaca/o?

“Sono ideologicamente contraria alle quote rosa. Non bisogna candidare per forza una donna perché fa parte della riserva indiana. I nomi in campo sono pubblici. Matteo Lepore, per esempio. Mi piace per la sua creatività, ma i sogni vanno commisurati alle proprie energie, devono essere realizzabili. Attenzione a non buttare il cuore oltre l’ostacolo”.

Le donne non sono solo le ingegnere, l’universo è vasto.

“Vanno bene tutte le formazioni purché si formino. E poi… Occorre lavorare molto su se stesse, camminare molto da sole, sennò si ha come l’impressione che tutte le cose per cui io e le mie coetanee abbiamo lottato finiscano a mare. Lo capisco che l’insicurezza e la precarietà creano disagio sociale. Ma bisogna lottare, sennò si rischia di cadere negli stereotipi che pensavamo sepolti. E prima di ogni altra cosa occorre avere considerazione di sé, rispetto della propria persona e l’ambizione di crescere, sempre. Oltre l’immagine”.


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