Per un piano sociale straordinario

Le risorse della cooperazione sociale ed i suoi nessi solidaristici sono stati il vaccino sociale nei cupi mesi del lockdown e sono il punto di partenza per la ricostruzione, che per essere efficace dovrà inevitabilmente essere giusta, partecipata e democratica. Una risposta a Rossella da Bologna Fuori le Mura

di Alessandro Blasi, Offside Pescarola


Cara Rossella, accogliamo con piacere il tuo invito e siamo disponibili a sviluppare un nuovo discorso sociale per Bologna. La domanda è: per quale motivo stare insieme? E se ci incontrassimo per discutere di una nuova stagione di governo di Bologna? E se il nuovo baricentro fosse la difesa della società e della sua parte più fragile? E se affermassimo che il potere dell’innovazione sta in basso e si sviluppa in assemblee territoriali e con un processo municipalista? In altre parole, associamoci per ridefinire le priorità di budget del Comune di Bologna e per fare in modo che il nuovo welfare sia più ricco, più pubblico ma un pizzico meno statale.

Il 2020 è stato il tempo della gestione monocratica del potere, dell’emergenza sanitaria, dei dispositivi assoluti ed improvvisi, la cui comunicazione è stata verticale. Le lotte per il welfare sono state decisive e dal consenso diffuso: più ospedali, maggiore sanità, più risorse per la scuola. La stagione pandemica verrà ricordata per avere rimesso al centro il welfare, l’economia della cura, l’interesse comune contro l’appropriazione privata.

Le risorse della cooperazione sociale ed i suoi nessi solidaristici sono stati il vaccino sociale nei cupi mesi del lockdown e sono il punto di partenza per la ricostruzione: possiamo introdurre, dal basso verso l’alto, in maniera umile ma dirompente, il potere istituente della nuova società nella latenza del Coronavirus (sia chiaro: non è finita l’emergenza sanitaria, anzi, mentre quella sociale batte con forza e drammaticità). Noi vogliamo semaforo verde per i comportamenti che sviluppino il comune, rosso per l’opportunismo individualista; vogliamo la ricostruzione organizzata sulla base del diritto alla città.

La città sostenibile ecologicamente è un terreno di confronto immediato. Avevamo strade piene di auto a diesel, cieli ingorgati di aerei inquinanti e rumorosi per voli spesso inutili, migliaia di case convertite al turismo, tolte dal mercato ordinario e trasportate sulle locazioni brevi. Dobbiamo rimpiangere il passato e chiedere il suo ritorno? No! Ora possiamo avere una nuova logistica urbana, ecologica, piena di diritti, con un salario minimo orario municipale; ora è il tempo di riparlare di centralità del pubblico – non solo statale – del comune.

Possiamo quindi ripensare l’economia urbana. E se dalla nostra esperienza nelle lotte dei riders emergesse la capacità innovativa di creare un’infrastruttura comune della movimentazione delle merci in città? In questa prospettiva è di grande suggestione la sperimentazione delle Consegne etiche promossa dalla Fondazione per l’Innovazione Urbana. E se riuscissimo a riattualizzare l’origine delle cooperative di consumo? Nella crisi drammatica in corso c’è spazio per affrontare collettivamente il problema dell’acquisizione delle merci e della loro distribuzione? Le Cucine popolari nutrono la nostra immaginazione, il Laboratorio Salute popolare di Làbas prelude ad una sanità sociale ad alto valore relazionale, il Doposcuola e la Scuola Clandestina del TPO ci indicano che parlare di autoriforma del welfare non significa cadere negli inciuci politici della sussidiarietà, mentre l’esperienza della polisportiva Hic Sunt Leones dimostra che lo sport e il legame sociale sono due elementi naturalmente incrociati. Gli spazi sociali e gli spazi urbani possono essere i nuovi magazzini del sale? E se gli spazi urbani fossero anche ripensati a misura d’infanzia? Sale, locali, parchi e strade a disposizione delle scuole, delle reti dei genitori, degli educatori organizzati e dei doposcuola mutualistici.

Il governo della ricostruzione sostiene gli small business, si fa carico di mantenere l’originalità che conferiscono al tessuto connettivo, sociale, relazionale; ora tutti riconoscono la differenza tra una grande catena in via Indipendenza ed un mercato rionale o un bar alternativo o un circolo Arci. Dobbiamo tornare a porre la discriminante di ricco e povero, ed una politica fiscale radicale, con un’imposta sui patrimoni, dobbiamo premiare la generazione di reddito e penalizzare l’ereditarietà della ricchezza.

Questo ci permette di fare un passo in avanti sul “dove”. Dobbiamo tornare a politicizzare la città, i suoi quartieri, i suoi spazi pubblici, i suoi circoli. Dobbiamo contendere il discorso sulla ricostruzione, perché il Comune di Bologna può costruire la sua Finanziaria della Ricostruzione, trovando le risorse in maniera sbilanciata sul povero e sul ricco, politicizzando il bilancio, ad esempio liberando dagli affitti tutte le realtà che fanno welfare di comunità, garantendo il credito che sarà necessario avere.

Nella città si organizza la risposta democratica ed assembleare al commissariamento emergenziale. Dobbiamo mettere a tema l’assemblearizzazione della politica municipale, cogliamo anche questo nella parole che sono state di invito alla nostra discussione. È tutto cosi importante che non possiamo abdicare la discussione alle sole Segreterie dei partiti; siamo d’accordo, non bastano le tessere e le correnti, dobbiamo cercare anche altrove la forza e le ragioni. Il municipio è il luogo in cui si gioca la partita del futuro, perché se il passato era la smart city, ora la battaglia è tra new city e dark city.

In conclusione, ci è servita e ci serve la resilienza sociale, ma ora per allora ci serve la progettazione delle nuove istituzioni e delle sue infrastrutture. Ci serve il programma e la forza per attuarlo. Ci serve un piano sociale straordinario di 10 milioni di euro da destinare alla messa in sicurezza degli spazi sociali, dei circoli associativi, dei laboratori culturali, dei centri sportivi popolari, delle esperienze di welfare di comunità e di prossimità, da gestire in maniera trasparente e distribuita dando priorità ai territori comunali fuori dalle mura. Si tratta di risignificare il processo del bilancio partecipativo dando ad esso maggiore potere, snellezza, autonomia. Parliamone, in assemblea.


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