Un documento di pietra quasi invisibile sopra l’insegna di un bar, grazie alla curiosità di un ricercatore storico e all’aiuto di una rete di amici esperti, svela una storia antica: quella lastra rappresenta i tre gigli di casa D’Angiò, la famiglia reale francese che in quegli anni di scontri si schierò contro i ghibellini. E proprio sul finire del Duecento i tre gigli entrarono per la prima volta a far parte dello stemma del Comune di Bologna
di Giancarlo Dalle Donne, archivista
Questa proprio non me l’aspettavo. Sono venuto ad abitare in questo quartiere, dalle parti del Pratello, da pochi anni. Sono un archivista e un ricercatore storico e fin da subito mi sono divertito a ricercare storie poco conosciute che riguardano questa parte di Bologna. E quindi mi sono preso la fotocamera e ho cominciato a fotografare tutto quello che mi sembrava interessante, visibile in via del Pratello, Pietralata, San Rocco, Paradiso, San Felice.
Ogni, angolo, ogni scorcio, ogni lapide, ogni immagine sacra. C’è un sacco di roba, come del resto in tutta la città. Pensavo, a parte i cortili e i giardini interni, di avere già visto tutto. Era già abbastanza. Poi, una sera…
Questa è la prima storia, quella più recente. Esterno notte, via del Pratello, seduto nel dehor di un bar, con davanti un bicchierino di grappa. Come si usa fare in contesti simili, mi guardo intorno, incrocio lo sguardo di tante persone, alcune amiche, altre solo conoscenti. Il bello del Pratello è (anche) questo. Non sei mai solo, qualche sguardo amico lo incroci sempre. Poi guardo il bar, l’insegna e vedo una cosa che mi colpisce, e che non mi aspettavo.
Una lapide, un “documento di pietra”, nascosto, quasi invisibile, sopra l’insegna del bar. Ma si legge malissimo… cos’è, cosa c’è scritto, perché è lì? Molte domande, poche risposte, per il momento.
Rompo le scatole (attività che di solito mi riesce piuttosto bene) un po’ a tutti: chiedo a Nadia, a Francesco, a Maria, ad Achille, anche alla “classicista” che lavora in quel bar, ma nessuno ne sa niente, nessuno l’ha mai notata. Eppure qualcuno ha anche abitato lì, per molti anni. Allora chiedo a Davide, a Carlo. Niente. Per il momento devo fare con i miei mezzi.
Che fare? Beh, per prima cosa fotografarla, e con gli strumenti informatici cercare di renderla un po’ più leggibile. Salta fuori una scritta, suddivisa in due parti: sotto una data, in numeri romani (discretamente leggibile), sopra uno scarabocchio indecifrabile. La data è importante (nel senso che è parecchio antica): 1278. Ma sulla parte sopra ci capisco il giusto: c’è chi dice che è una scritta in greco, chi in arabo… boh! Che senso ha?
E allora che faccio? Ma chiedo un parere alla mia “amica geniale”, amica cara e di vecchia data, della comunità degli archivisti e dei bibliotecari (Elena Saponi, catalogatrice di libri antichi, esperta in materia). “Macchè greco, macchè arabo, sono i tre gigli di Casa D’Angiò!” “Elena, sei un mito! è una grande traccia, molto “aiutevole”.
Però, una domanda: che ci fanno i tre gigli di casa D’Angiò su una lapide al Pratello?
E l’interpretazione, la decifrazione della mitica Elena sarà corretta? Chiedo un riscontro autorevole ad Armando, e ottengo la conferma. E mi fermo qui, perché io sono un archivista e un ricercatore storico, non un medievista.
Però qualcosa si può dire. I tre gigli sono anche attualmente nello stemma del Comune di Bologna, e ci entrarono per la prima volta proprio negli ultimi decenni del ‘200 (Cencetti: grazie Armando per la segnalazione). Siamo negli anni degli scontri tra Guelfi e Ghibellini, e i guelfi erano appoggiati dai francesi (appunto, i D’Angiò). E una parte del “mistero del Pratello” è risolta.
Poi si può proseguire nella ricerca, ma intanto, per il momento, quel “documento in pietra” del 1278 dovrebbe essere conosciuto, reso leggibile, valorizzato. A questo punto rompo le scatole (attività che di solito mi riesce piuttosto bene) a Lorenzo, a Cristian, a Meri. E, per fortuna, qualcuno si interessa alla cosa (motivo per cui racconto qui questa storia).
Manca una cosa… “Ma dov’è esattamente?”. Beh, cercatela, via del Pratello non è lunga… (una traccia: il civico è lo stesso dove aveva la bottega-laboratorio Sergov, Sergio Govoni, il famoso artigiano-artista, ebanista e intarsiatore)
Questa è la prima storia. E la seconda? Mi sono dilungato troppo, alla prossima! (la più antica fabbrica bolognese, prima collegio per nobili, teatro, poi lanificio…)
Fantastica curiosità, mi sono sempre piaciuti i segni deboli, che mi ha fatto conoscere Sergio Govoni. Ma dove, oggi, sono le sue opere? Grazie all’autore e all’attenzione di Cantiere Bologna.
Sto cercando di capirlo anch’io. Una parte delle sue opere si possono vedere su un sito del Comune di Bologna (facilmente rintracciabile su internet), ma non ci sono tutte. Non so se sono state acquisite dal Comune oppure dove siano attualmente…