Come fare a evitare l’affollamento dell’area pedonalizzata “T”. Molto bene il restauro e l’accesso della torre di Palazzo d’Accursio. Purtroppo era tutto ancora più bello prima dei raggelanti restauri ottocenteschi
di Angelo Rambaldi, giornalista
A Bologna il Sindaco scende in campo contro gli assembramenti nella mitica area pedonalizzata “T”, il Sabato e la Domenica. La soluzione vera però è una sola, si deve sospendere, per un certo periodo, la pedonalizzazione della “T” perché la gente viene in centro per passeggiare nel bel mezzo di via Ugo Bassi, via Rizzoli e via dell’Indipendenza. Se la pedonalizzazione è sospesa, manca l’appeal, la gente non viene in centro e gli assembramenti calano.
Aggiungo un’osservazione personale che farà arrabbiare qualcuno: al di là delle vetrine, il “corredo urbano” della T, che nasce durante la Belle époque con una serie di sventramenti nel tessuto antico della città, è freddo e bruttino. I palazzoni, giustamente definiti “alla milanese”, delle vie Rizzoli e Ugo Bassi creano un ambiente urbano esteticamente neutro e la fredda geometria umbertina di via dell’Indipendenza è grigia. Certo ci sono gli affacci su piazza del Nettuno e Piazza Maggiore, e lo sfondo delle due torri, ma nonostante questo la T resta una delle parti più fredde e mediocri di Bologna. Poi, per carità ognuno può passeggiare dove vuole.
Oltre a molti meriti fra cui l’igienizzazione della città e il decoro (almeno nelle aree centrali e “bene”), l’urbanistica fra XIX e XX secolo ha sulla coscienza pure non pochi demeriti. Recentemente, ad esempio, è stata restaurata e aperta al pubblico la torre di Palazzo d’Accursio. Nella seconda metà dell’800 il Palazzo pubblico fu interessato da un pesante restauro che ne sfigurò la natura e la storia. È vero che l’edificio era stato fino allora trascurato ed era molto degradato, ma questo non giustifica il pastiche neomedioevalista in cui fu imbalsamato. Il Palazzo fino al termine del dominio pontificio si chiamava Palazzo Apostolico, questo perché per secoli ospitò il particolarissimo Governo della città. Al primo piano c’era l’Eccelso Senato (dove oggi è la Sala Rossa, mentre l’attuale sede del Consiglio Comunale era l’anticamera), al secondo piano invece c’era la residenza del Cardinal Legato, il rappresentante del Sovrano, in altre parole il Papa. Questo Governo “misto” aveva come motto e prassi “nulla senza il Senato nulla senza il Legato”.
Sul lato sinistro della facciata (guardando il palazzo) vi era l’ampio “balcone degli Anziani”, che erano i leader a tempi bimestrali del Senato (a quei tempi il termine “anziano” era un merito e con tale termine non si intendeva una sorta di minorato come anche in questi giorni si tende a dire). Il quadrante della torre era tutto dipinto di vivaci colori, e vi era una giostra di statue di legno, i Re Magi, che a ogni ora entravano e uscivano a rendere omaggio al Bambino, che stava in basso sotto l’orologio. È vero che tutto l’insieme era un po’ malmesso, compresa la giostra che da un po’ di tempo era fuori uso, ma tutto era recuperabile, come da altre parti fu fatto.
Purtroppo, la borghesia bolognese post risorgimentale e carducciana, che si era inventata un medioevo epico e guerresco, che era vero solo nelle sue fantasie, voleva un Palazzo Pubblico severo, ferrigno e guerresco, qualità che nella sua lunga storia, escluse brevi parentesi, il Palazzo non aveva mai avuto. L’unica cosa positiva fu il recupero del portico.
Per capire l’aria che tirava, basti ricordare che al tempo nacque una disputa perché la vetta della torre del Palazzo finiva (e per fortuna finisce ancora) con la bellissima e aerea cupolina opera di Giovanni da Brensa. Da parte di alcuni si invocò un abbattimento perché così conciata la torre “sembrava un guerriero con un capellino da donna”. Anche l’ala destra del palazzo è stata restaurata, con uno stile però non ferrigno ma gentile. Resta che la parte più bella è quella risparmiata dalle rivisitazioni di un medioevo inesistente, il bellissimo complesso cinquecentesco del portone di entrata opera di Galeazzo Alessi e la statua di Gregorio XIII, il bolognese Boncompagni, riformatore del calendario. Del medioevo fu restauratore convinto anche Alfonso Rubbiani, ma le sue opere furono filologicamente molto migliori del raggelante restauro di Palazzo d’Accursio.
Photo credits: Fernando García Redondo (CC BY-NC 2.0)