In via del Porto 30 c’è un palazzo anonimo, ma fondamentale per lo sviluppo dell’imprenditoria moderna della nostra città
di Giancarlo Dalle Donne, archivista
Un palazzone apparentemente anonimo, quello che si incontra percorrendo via del Porto (al n. 30, nel tratto alla sinistra di via Marconi, in direzione stazione). Apparentemente, appunto, ma così non è: anche se profondamente ristrutturato nel corso degli anni ’80 del ‘900, è un edificio ricco di storia, già presente (cioè documentato) nella seconda metà del ‘500. Uno dei rari fabbricati della zona sopravvissuti alle trasformazioni urbanistiche seguite al piano regolatore del 1889.
Le prime notizie sono del 1586, quando un collegio per nobili, l’Accademia degli Ardenti (in seguito denominata Accademia del Porto), prese in affitto lo stabile (di proprietà della nobile famiglia Torfanini) per poi acquistarlo successivamente, nel 1651. L’Accademia, fondata nel 1555 dal senatore Camillo Paleotti, era un collegio dove venivano iniziati alle belle arti i fanciulli della nobiltà bolognese. Vi si insegnava grammatica, latino, greco, storia, geografia, poesia, scrittura, disegno, musica, canto, danza, ma anche esercizi ginnici e d’armi, e giochi di società. Venne poi affittato ai Padri Somaschi, che nel 1703 costruirono all’interno un “superbissimo teatro dipinto dal famoso Francesco Bibiena” (nell’immagine qui sotto). L’ampio fabbricato comprendeva inoltre gli ambienti per ospitare i convittori e i direttori, refettori, cappellina, porticato della cavallerizza, granaio, conserva. La gestione dei padri Somaschi si concluse nel 1733, a causa di un dissesto finanziario. Da quel momento la storia dell’edificio cambiò decisamente verso.

Si interessò al palazzo il marchese e mercante bolognese Francesco Boschi, che nel 1735 lo prese in affitto (per acquistarlo alcuni anni dopo), soprattutto per la vicinanza del canale Cavaticcio, in modo da poterne sfruttarne l’energia idraulica e le acque. Francesco Boschi era intenzionato a rilanciare la manifattura della lana, in declino in quegli anni, e così, in breve tempo e in quel luogo, mise in piedi “una gran quantità di ordegni, ed instrumenti, occorrenti per tutte le manifatture, di pettinare, filare, tessere, ridurre a perfezione e perfino a tingere i lavori, di tal maniera che, introdotta la lana in fabrica, fu atta ad esser tagliata in abiti”.
Ma perché dico “la più antica fabbrica di Bologna”? Forse prima del 1735 in città non esisteva la manifattura? Certo che esisteva, è ben noto come in particolare il settore della seta (ma anche della canapa) caratterizzasse, da secoli, l’economia della città. Non si trattava però di un’industria, ma di una “protoindustria”, incentrata in particolare sul ruolo fondamentale del lavoro a domicilio, e ben lontana dall’essere un “sistema di fabbrica”. Nel caso dell’edificio di via del Porto, invece, siamo di fronte alla prima fabbrica (in accezione moderna) di Bologna, con precise caratteristiche imprenditoriali: ricorso a un know-how esterno (tal Francesco Zabbeo, esperto tecnico veneziano, e primo direttore), ruolo marginale del lavoro a domicilio, autonomia rispetto alla corporazione (l’Arte della lana) e alle sue regole ferree. Ma soprattutto concentrazione delle attività produttive (in tutte le sue fasi) in un unico ampio edificio. Insomma, quella che attualmente intendiamo per “fabbrica”, e in questo caso – 1735 – siamo alle origini del sistema di fabbrica a Bologna, il primo esempio in città.
Nei primi anni il numero degli operai oscillò tra le 50 e le 60 unità: filatori, tessitori, tintori, ma anche manodopera utile per tutte le numerose fasi della lavorazione della lana (“ordire, valcare, cimare, garzare, stirare, recimare, suppressare”). Settore particolarmente critico era la tintoria, per la difficoltà di ottenere un durevole fissaggio delle tinte sulla stoffa, al punto che fu dato incarico a Laura Bassi, nota scienziata e fisica sperimentale bolognese, di “fare varie esperienze ed esami, al fin di verificare le ragioni del male, e ritrovarvi l’opportuno rimedio”.
Facendo un notevole salto in avanti, di circa un secolo – siamo a metà ‘800 – la fabbrica fu rilevata da Luigi Pasquini, imprenditore bolognese: allora impiegava oltre 200 operai e disponeva di 80 telai. Nel 1878, in seguito alla crisi del settore, l’attività fu chiusa, e gli operai licenziati.
Una curiosità: i discendenti del Marchese Francesco Boschi, fondatore della Fabbrica dei panni, hanno tuttora mantenuto, nel loro palazzo di via Castiglione, memoria dell’importanza che la lavorazione della lana ha avuto per la loro famiglia nel corso dei secoli: www.salottoboschi.it
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