Portatori sani di libri: la Confraternita dell’uva

In quest’anno complesso è bene non perdere il filo. Alcune importanti rivoluzioni sono accadute nel mondo dell’editoria e per farcele raccontare abbiamo sentito Giorgio Santangelo, responsabile di quella che da quattro anni a questa parte è una delle librerie più propositive e creative della realtà bolognese

di Maria D’Ugo, redattrice editoriale


Per cominciare, una panoramica. Dalla primavera com’è cambiato il vostro lavoro? Noi siamo caffetteria, libreria e wine bar ma soprattutto una fucina di eventi. Ne facevamo cinque a settimana in media, non sapevamo neanche noi con che follia. L’ultima presentazione è stata Giovanissimi di Alessio Forgione (che fra l’altro rimase bloccato a Bologna a causa delle prime restrizioni alla mobilità). Tempo qualche giorno hanno anticipato la chiusura alle 18 di tutte le attività di somministrazione, e allora ci dissero di chiudere anche la libreria.

Tra librai indipendenti c’è sempre molto contatto, e vedevo che nelle città che diventavano zone rosse, come Torino o Milano, qualche libraio aveva iniziato ad attivarsi in bicicletta. Quindi ci siamo detti: alle 18 caliamo la serranda, prendiamo la bici e andiamo a consegnare libri e bottiglie di vino e birra artigianale (che poi ce n’è bisogno, soprattutto nei momenti di disperazione).

Le librerie sono state fra le prime a poter riaprire, già il 14 aprile. Voi della Confraternita però avete sottoscritto una lettera insieme ad altre 150 librerie indipendenti e di catena che sottolineava le criticità della riapertura.

Durante il lockdown c’era grande disinformazione su come ci si doveva comportare, era un periodo in cui tutti erano spaventati. Riaprire nel nulla non serviva a niente. Anche perché molte persone potevano recarsi solo alla libreria più vicina, ma la libreria non la scegli come il supermercato, che ti fa comodo perché è dietro casa: la scegli per la proposta e per le persone.

Ora le librerie sono aperte e tutti dicono «ah, che bello, le librerie bene essenziale» ma, diciamo le cose come stanno, ti fanno stare aperto così non ti devono alcun finanziamento statale. Parlo con altri librai che adesso si trovano in zone di chiusura, lì c’è il deserto. Noi stiamo andando avanti grazie alla consegna a domicilio e alle spedizioni, altrimenti in libreria non ci va quasi nessuno, perché a uscire per dei libri potrebbero anche multarti.

Pensi che sia cambiata la percezione generale sul ruolo delle librerie?

Credo di sì. C’è un’etica maggiore nella scelta dei propri libri: se magari prima si faceva un clic su Amazon, ora si capisce che c’è bisogno di sostenere delle realtà fisiche. Non molto diverso da quanto sta accadendo nelle scuole: ci sono temi di cui non si è parlato per moltissimo tempo e che invece ora sono sulla bocca di tutti e sono fondamentali per la crescita di una comunità.

È cambiato il rapporto con Bologna? Pensando alle scuole, c’è più margine per proporre libri diversi?

Quella è da sempre la nostra mission. Per le scuole a fine novembre ci sarà #ioleggoperché, una maratona di acquisti da parte di persone che vogliono donare libri alle biblioteche scolastiche. Per la prima volta in Italia, grazie al fondo Franceschini, le biblioteche italiane hanno avuto una quantità di soldi abbastanza grande a fondo perduto da spendere esclusivamente in librerie fisiche: invece di rifornirsi da magazzini o grossisti che possono fare delle percentuali di sconto che una libreria non può permettersi, le biblioteche hanno dovuto comprare dai librai. Noi abbiamo collaborato con quattro biblioteche e consegnato centinaia di libri. È stato bello lavorare con realtà della propria città e vedere le biblioteche che libri scelgono e perché in base alla zona in cui si trovano, alle richieste del quartiere e al tipo di progetto che si pongono.

Secondo te il legame tra libraio, editori e comunità di lettori si è fatto più stretto?

Sì. Per il tipo di libreria che siamo c’è sempre stato e ora più di prima ci si aiuta: gli editori magari fanno dilazioni sui pagamenti e editori stessi, come Leonardo Taiuti di Black Coffe e Livia Del Pino di Marcos y Marcos, sono tra i fondatori di Bookdealer, una nuova piattaforma di e-commerce: invece di attingere da un magazzino, si compra un libro da una libreria specifica. C’è un reinvestimento locale e quindi ci guadagnano tutti, come è giusto che sia in un’economia che funziona.

In ultimo: c’è una domanda che da libraio ti senti di rivolgere?

Più che una domanda farei un appello: Natale è alle porte, aiutiamoci; affinché la Confraternita continui a esistere c’è bisogno di partecipazione effettiva. Poter lavorare per noi significa consigliare belle storie, far bere buone cose e allo stesso tempo ricevere gratificazione da quello che facciamo. Ci piace fare il nostro lavoro, quindi fatecelo fare: possiamo fare le cose con il giusto distanziamento, siamo attrezzati, carichi e pronti.


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