Per la presidente Antonella Lazzari occorre che “tutte le energie siano ben canalizzate e ci consentano di pensare ad un nuovo sistema sociale e socio-sanitario, naturalmente passando attraverso una ancora maggiore collaborazione tra pubblico e no profit”
di Barbara Beghelli, giornalista
La prima emergenza Covid è stata “sanitaria” anche se piano piano si è scoperto il suo lato oscuro, inizialmente invisibile: il disagio sociale, il profilo umano di migliaia di persone che se ne andava in frantumi, polverizzato. Il virus prorompe(va) come un fiume in piena nelle case e nella vita di tanti. Inesorabile, subdolo, trascinando via vissuti interi e sicurezze psicologiche in poche ore, situazioni che ancora oggi lasciano strascichi pesanti.
Ma in mezzo a questo pandemonio, che in gran parte ancora viviamo, Auser, associazione nazionale di volontariato, è stata un riferimento che ha sostenuto e contrastato ogni forma di fragilità e che non ha smesso un attimo di attivarsi a favore dei più fragili.
E se la solitudine di marzo ha dettato nuovi bisogni, dall’impossibilità di vedere i figli allo spostarsi per chi aveva degli handicap, magari anche solo per fare la spesa o una visita, ecco che il ruolo di gran parte dei 3.800 volontari spalmati sull’intera città metropolitana (Auser conta 47 sedi, quella principale è in via Gobetti) è stato salvifico, in molti casi. E ancora lo è e lo sarà.
Ora, Bologna è sicuramente un territorio economicamente avanzato e una città socialmente molto attiva, ma pensando allo scenario di primavera, magari ripetibile, la presidente dell’associazione Antonella Lazzari si sente di sottolineare una cosa: “Occorre affrontare subito gli immensi problemi legati all’isolamento dei singoli, mettendo il tema della solitudine in cima alla lista delle priorità istituzionali: perché questo è lo scenario attuale”.
Lazzari, sposata con due figli di 27 e 29 anni, vanta un lungo passato nel mondo del sociale, avendo lavorato al Servizio Politiche Sociali della Città Metropolitana con competenze specifiche sul Terzo settore. Fa il punto della situazione avvalendosi di Cantiere Bologna, e con un filo di voce dice: “Nonostante tutto in questo momento siamo messi meglio che in primavera, almeno le persone possono uscire, se vogliono. Ed è molto importante perché il lockdown di marzo, obbligato visto che non c’erano nemmeno le mascherine per tutti, ha comportato problematiche psico-fisiche in molte persone. I nostri stessi volontari, la maggior parte over 65, da iperattivi si sono improvvisamente fermati, visto che l’ordinanza vietava loro di uscire di casa. Ma ora gli strumenti non mancano e sarebbe molto problematico, nonché pericoloso, rinchiudere di nuovo tutti per più mesi”.
Spiega, ancora, che in questo periodo è sempre più importante “favorire un accompagnamento nell’accettare la vecchiaia”. Abituare cioè le persone al passaggio d’età. “E sa quale sarebbe la cosa più dannosa?”.
No, quale?
“Che ci dimenticassimo delle tragiche situazioni di questi nove mesi, la sofferenza e il dolore di tanti. Deve essere servito l’esempio vissuto, e le riflessioni sul terzo settore ci danno gli strumenti per arrivare ad un futuro immediato condiviso più votato al welfare. Ma è adesso che dobbiamo agire”.
La sua quindi non è una riflessione sul futuro.
“È attuale, prima di tutto. È importante avere una visione congiunta tra istituzioni e collettività. Per ripensare il momento presente e anche per programmare il futuro”.
Quante persone seguite a livello metropolitano?
“A settembre abbiamo aiutato 2000 cittadini (escluso il circondario imolese): tanti disagi di adulti e disabilità. Le attività di volontariato variavano da l’Unione fa la spesa, a La parola amica, alla consegna dei farmaci. Ci siamo anche resi conto di quanto sarebbe stato utile che gli anziani sapessero usare il digitale, ma è un lavoro lungo, noi comunque abbiamo continuato da remoto, con le telefonate. Ma si può organizzare, l’alfabetizzazione digitale”.
Ce la faremo mai a cambiare passo nel fondamentale sistema del welfare?
“Sinceramente, l’Emilia-Romagna è ricca e attiva, il terzo settore fa parte della nostra storia sociale. Io di consigli non ne do, però mi piacerebbe che tutte le energie fossero ben canalizzate e ci consentissero la capacità di pensare ad un nuovo sistema sociale e socio-sanitario, naturalmente passando attraverso una ancora maggiore collaborazione tra pubblico e no profit”.