Nata a Loiano nel 1778, fu affidata a un cugino prete, Giacomo Dalle Donne. Luigi Rodati, suo maestro, scrive di lei nel 1789: “Ho con me una fanciulla bolognese di undici anni, che parla e scrive il latino, e si dedica agli studi umanistici. Si possono porre su di lei tutte le speranze di recuperare Laura Bassi”. Fu così. Dopo la laurea, da titolare della cattedra di ostetricia, nel 1804 le fu affidata la prima scuola per levatrici in via Saragozza, che diresse fino alla morte, nel 1842
di Giancarlo Dalle Donne, archivista
Il 21 dicembre 1799 la “Gazzetta di Bologna” dedica l’intera prima pagina a un personaggio e a un evento andati in scena due giorni prima nel Teatro Anatomico dell’Archiginnasio. Alla presenza di Clotilde Tambroni, un folto pubblico partecipa alla presentazione di una laurea. La persona in questione deve discutere le sue tesi riguardanti scienza, medicina, ostetricia, davanti a importanti professori del tempo. Naturalmente dovrà parlare in latino.
Perché tutto questo clamore, perché tutta questa enfasi, tale da meritare un’intera prima pagina e la presenza di numeroso pubblico?
Perché la persona in questione è una donna, innanzitutto, poi ha appena 21 anni, e per di più è di umili origini, proveniente da una piccola comunità rurale della montagna bolognese. Tutte cose non comuni per la Bologna di fine ‘700. Una ragazza che, in una prestigiosa sede, discute in un perfetto latino con i più famosi professori del tempo di medicina, scienza, ostetricia. Un evento di richiamo.
Si era già esibita in pubblico, qualche mese prima, nell’agosto del 1799, in S. Domenico, come premessa alla laurea. In quell’occasione per tre giorni espose le sue tesi. Riportano le cronache cittadine:
“… Ella, modestamente vestita in nero, coperto il capo da un velo che scendeva fino ai piedi, stavasi su un’ampia predella a tal uopo disposta. Il suo aspetto era tranquillo, come di persona a cui non è molesto il pensiero di ciò che imprende; il suo sguardo e il suo contegno erano composti al rispetto che quell’adunanza meritava ché, chi seppe meritarsi delle doti sa apprezzare le altrui: vedevasi in lei la sicurezza, ben lontana la presunzione; in lei scorgevasi quell’umiltà che non invilisce chi la professa. La disputa cominciò: schiariti da Maria molti quesiti, che quei Dottori a lor piacere le venivano facendo, all’improvviso le presentarono tesi di sì profonda difficoltà, che gli stessi suoi maestri impallidirono per temenza avesse Ella a smarrirsi. La discepola, senza menomamente scomporsi, servendosi dello idioma del Lazio fino allora adoperato, con profonde analisi e limpido argomentare ne svolse ogni parte a sì decisa incontrastabile definizione che mosse l’entusiasmo in tutta quella scelta adunanza. Il giorno susseguente, quegli scienziati, il cui nome aveva più volte echeggiato glorioso per l’Italia si portarono al tempio novellamente ad ascoltare la quadrilustre addottrinata e nel terzo giorno accorrevano per consultarla intorno a ciò che eziandio per essi era ancora problema”.
Si chiamava Maria, Maria Dalle Donne, e la sua storia non è molto conosciuta a Bologna, anche se le sono state dedicate due scuole, a Monghidoro e a Loiano.
Nata a Roncastaldo (attualmente nel comune di Loiano) nel 1778, curiosamente proprio l’anno della morte di Laura Bassi, quasi si trattasse di un passaggio di testimone. La sua famiglia, di piccoli proprietari contadini, fin da giovanissima l’aveva affidata a un cugino prete, Giacomo Dalle Donne, che aveva visto in lei grandi potenzialità. Luigi Rodati, suo maestro, scrive di lei, in una lettera del 1789: “Ho con me una fanciulla bolognese di undici anni, che parla e scrive il latino, e si dedica agli studi umanistici. Si possono porre su di lei tutte le speranze di recuperare Laura Bassi”.
E infatti fu così. Dopo la laurea, ed essendo titolare della cattedra di ostetricia, nel 1804 le fu affidata la direzione della prima scuola per levatrici, con sede nella sua stessa casa, in via Saragozza 147 (l’attuale n. 22), che diresse fino alla morte, nel 1842. Prospero Ferdinando Ranuzzi Cospi, ricco mecenate bolognese, le attribuì una rendita mensile, per potere continuare con più agio la propria attività, e nel 1815, nel suo testamento le donò il gabinetto di fisica di proprietà, con macchinari e libri (Maria lo vendette al Comune di Cento nel 1834).
Ha lasciato tre opere, di cui una creduta perduta (in realtà non è così), i testi delle sue tesi, conservate nella Biblioteca dell’Archiginnasio. Ci sarebbero tante altre cose ancora da raccontare su Maria, ma la mia intenzione era solo quella di farne conoscere alcune, e ricordare una donna che sicuramente ha dato lustro alla città di Bologna.
P.S. naturalmente, il fatto che chi scrive porti lo stesso cognome di Maria è puramente casuale.
Un pensiero riguardo “Chiedo scusa se parlo di Maria (troppe cose sembrano più importanti)”