Piange il telefono. E anche gli elettori non stanno tanto bene

Pur con tutti i suoi difetti, l’Ulivo del 1996 rappresentava una prospettiva a lungo termine, insieme culturale e politica. Nonostante gli atteggiamenti padronali del suo ceto dirigente, io credo che quella prospettiva esista ancora e si chiami Partito democratico. Il problema, semmai, è che manca tutto il resto. Più che a un appello alle forze politiche, il giusto invito di De Plato rischia così di assomigliare alla famosa telefonata di Domenico Modugno alla moglie che non vuole incontrarlo. E certo la colpa di questo diniego non è di Giovanni

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB


Si può dire con relativa tranquillità che la nascita dell’Ulivo nel 1996, pur non essendone concausa, coincise con l’inizio di questa trentennale stagione populista che ancora non accenna a terminare, sebbene lasci intravvedere qualche illusorio segno di cedimento. Una stagione che fin qui ha avuto il suo padre putativo in Silvio Berlusconi, gli zii fumantini in Antonio Di Pietro e Beppe Grillo, i cugini antipatici in Salvini e Renzi. E chissà se altri ancora arriveranno.

C’è un’altra assonanza dell’oggi con l’allora: la dissoluzione dei partiti politici. L’ultimo esemplare rimasto pare essere il Pd. Ma esistono oggi formazioni in grado di indicare una prospettiva di società che non sia solo programmatica ma anche ideale?

Analizziamo le forze in campo, partendo dagli alleati di governo. Il Movimento 5 Stelle è in ritirata, in balìa degli eventi come le truppe napoleoniche tanto care al nostro Angelo Rambaldi. LeU, scioltasi dopo le elezioni 2018, riposa da tempo nel cimitero delle buone intenzioni. Italia Viva è un partito mediatico, esiste solo sui giornali e nel Palazzo, mentre i sondaggi lo quantificano a cavallo del margine d’errore statistico. L’unica prospettiva per Renzi&co. pare l’abbraccio coi sopravvissuti di Forza Italia. Anvedi…

Passiamo alle forze di opposizione, tralasciando ovviamente i partiti sovranisti per incompatibilità naturale. Iniziamo da Bologna Civica: un manipolo di reduci del cattolicesimo democratico riuniti intorno alla rappresentanza categoriale dei commercianti può costituire una prospettiva politica credibile e radicata nella società bolognese? Ho seri dubbi.

Per quanto riguarda la Sinistra, sembra non sia ancora stato trovato un antidoto all’atavica “sindrome Bertinotti”, nonostante i ripetuti sforzi unitari di qualche anima pia votatasi al martirio (spoiler: non è la Schlein). Per di più, quando lo sforzo unitario riesce la sua eco mediatica è praticamente nulla. Quanti di noi infatti hanno seguito Metropolis, la tre giorni organizzata da Coalizione Civica, o sanno che la stessa formazione ha recentemente svolto le votazioni del suo “congresso” online? Lo dico io: molto pochi.

Ci sarebbero poi i “liberali”, di cui è difficile quantificare l’apporto programmatico e elettorale, sebbene lo sforzo federativo di Più Europa e Azione sia da salutare positivamente, quantomeno in un’ottica di semplificazione del quadro politico. Per il resto è come sempre legalizzazione della cannabis (amen), europeismo (apprezzabile), sburocratizzazione della PA (chi non la vuole?), potenziamento del sistema scolastico e sanitario (magari sul modello emiliano-romagnolo? Bonaccini se la ride). Tutte proposte di buonsenso, che in fondo è un fatto prepolitico e spesso trasversale, dipendente in larga misura dall’inclinazione individuale. Farne un partito o addirittura due mi pare francamente superficiale. Anche nell’Italia populista. Ma sicuramente mi sbaglio…

Arriviamo così agli ecologisti, da Volt a Europa Verde, sempreverdi e sempre in attesa di un Godot elettorale che purtroppo non arriva mai. Una separazione alle urne pare inevitabile, con i primi accodati al Pd e i secondi incastonati nell’ennesimo tentativo di rassemblement rosso-verde, si spera definitivo. La speranza dopotutto è sempre l’ultima a morire.

Da ultimo e con le dovute proporzioni aggiungiamo il fatto che il Prof., in questo caso la Prof., che secondo molti avrebbe potuto compattare un’alleanza larga e inclusiva si è appena tirata fuori dalla corsa verso Palazzo d’Accursio per rimanere a Bruxelles. E dunque no, il film non può proprio essere lo stesso del ’96.

Più che a un appello alla collaborazione tra forze politiche, il giusto invito di De Plato rischia così di assomigliare alla famosa telefonata di Domenico Modugno alla moglie che non vuole incontrarlo. E certo la colpa di questo diniego non è di Giovanni.

Qualcuno obbietterà che anche il Pd non è messo bene: non potrei essere più d’accordo. Ma se la situazione è quella che è, col dibattito cittadino ridotto a mero scontro di potere tra personalità e correnti, la colpa è anche di chi non ha intenzione, o non è in grado, di proporre un’alternativa credibile al Pd. In un simile scenario, come recentemente suggeriva l’amico Gagliardi, un nuovo ’99 rimane nel novero delle eccezioni: sempre possibile ma mai sistemico. Con buona pace del rinnovamento cui obbligherebbe una reale contendibilità del potere.

Pur con tutti i suoi difetti, l’Ulivo rappresentava una prospettiva a lungo termine, un’identità “nuova”, culturale e politica. Nonostante gli atteggiamenti predatori e padronali del suo ceto dirigente, credo che quella prospettiva esista ancora e si chiami Pd. Il problema, semmai, è che manca tutto il resto.


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