Un bosco verticale e un Divo di troppo per San Petronio

La provocazione ecologista dell’architetto Mario Cucinella, che immagina una parete di rampicanti e cipressi per l’incompiuta facciata della Basilica di Piazza Maggiore, è geniale ma lasciamo stare. Piuttosto, nel palazzo d’Accursio giusto a lato, sarebbe da rimuovere la scritta che indica il santo, in luogo di Papa Gregorio XIII, sopra la statua del Menganti. Fu impressa per sottrarre l’opera alla furia giacobina. Avere salvato anche la scritta per ricordare la storia non ha senso: così si ricorda soltanto un atto falsario di prepotenza

di Angelo Rambaldi, “Bologna al Centro – L’Officina delle Idee”


L’ architetto Mario Cucinella, che a Bologna ha realizzato anche belle opere, chiamando pure a testimone Papa Francesco e la sua enciclica Laudato si’, lancia una provocazione ecologista per l’incompiuta facciata di San Petronio, che lui vede ricoperta di verdi arrampicanti e pure qualche cipresso.

A parte i cipressi che nella tradizione italiana hanno una immagine cimiteriale, è bene ricordare che dal Palladio, un po’ prima e un po’ dopo, c’è una lunga tradizione che arriva all’Ottocento fino al periodo fascista di concorsi e di progetti per la facciata della basilica, direi tutti scarsamente entusiasmanti. Come in fondo lo sono le facciate, piuttosto raggelatine, fatte in epoca ottocentesca del Duomo di Milano e di quello di Firenze.

Gli aspetti che, è un’opinione personale, non convincono nell’idea, del resto geniale, di Mario Cucinella sono due. Il primo è la magnifica singolarità e bellezza, acquistata con la patina dei secoli, della vastissima facciata della Basilica. Il secondo è il fascino e la sacralità che da essa emanano e attraggono. Quindi, con grande rispetto dell’esercitazione artistica dell’architetto Cucinella e del messaggio ecologista che emana, io lascerei stare.

Rimanendo in Piazza Maggiore, qualche anno fa fu fatto un bel restauro al magnifico portone di Palazzo d’Accursio, opera cinquecentesca dell’Alessi, e della sovrastante statua del Menganti di Papa Gregorio XIII, il bolognese Boncompagni.

La storia di questa statua è tribolata. All’arrivo delle armate francesi a Bologna nel 1796, la furia iconoclasta si apprestava ad abbattere la statua del Papa sull’ingresso di quello che era stato il “Palazzo Apostolico”, dove erano ospitate le massime Magistrature cittadine: il Cardinal Legato, rappresentante del Sovrano Pontefice, e il Senato, espressione della città. Una parte della classe dirigente bolognese, in vista del lauto pasto che i francesi si apprestavano a offrire con la vendita a prezzi stracciati dei beni espropriati senza indennizzo alcuno alla Chiesa, cercò di mitigare la furia giacobina con una proposta di compromesso: tolti i segni della dignità papale, la statua di Papa Gregorio XIII si sarebbe trasformata in statua di San Petronio.

Per essere più chiari sulla parete alle spalle della statua fu scritto a grandi caratteri “Divo Petronio”. Dopo molti anni alla statua furono restituiti i segni della regalità pontificia e la statua tornò a essere quella di Papa Gregorio XIII. L’aspetto del tutto sbagliato e incomprensibile, confermato anche in un recente restauro, è che è stata restaurata anche la grande scritta, visibile dalla piazza, del “Divo Petronio”, per cui turisti e ignari cittadini continuano a ritenere che quella statua rappresenti San Petronio e non Papa Gregorio XIII.

Qualcuno ha protestato ma la sovraintendenza ha replicato che l’episodio della svestizione della statua papale messo in atto dai francesi è un episodio storico la cui testimonianza, la scritta, deve essere mantenuto. Sfugge totalmente la ratio di una simile decisione. La mania iconoclasta del giacobinismo a Bologna, come altrove, fu un episodio di fanatismo che fece danni, ad esempio, anche nella stessa piazza Maggiore, con l’abbattimento degli stemmi dalla facciata del Palazzo dei Banchi. Perché si debbano preservare per i posteri degli atti falsari risulta del tutto incomprensibile.

Photo credits: Marco Assini (CC BY-SA 2.0)


Rispondi