La segreteria provinciale rinvia ogni decisione e convoca a gennaio gli organismi dirigenti. Sarebbe errore tragico un atto tutto interno di manovratori incuranti dell’esistenza di una vasta area del centro-sinistra che vorrebbe essere coinvolta nel progetto politico. Così si va a sbattere. Così si va al definitivo declino. Serve una mobilitazione come quella che portò alla vittoria Bonaccini. Partendo dalla domanda ai 250mila potenziali votanti su come costruire insieme il futuro di Bologna
di Giovanni De Plato, psichiatra e scrittore
L’ex presidente della Bce Mario Draghi ha affermato che per uscire dalla crisi occorrono soluzioni rapide e sguardo lungo sia in economia sia in politica. Aggiungiamo sia nelle grandi scelte come in quelle piccole. La sinistra sembra marciare nella direzione opposta. Tempi lunghi e sguardo corto.
Quello che sta avvenendo a Bologna è un chiaro esempio. Ancora una volta un rinvio! La segreteria del Pd bolognese con un comunicato ufficiale informa che la convocazione degli organismi dirigenti è rinviata a gennaio. Gli elettori e i cittadini sono invitati ad accomodarsi in sala di attesa e attendere le decisioni. I dirigenti del Pd sembrano non rendersi conto della sfiducia che la gente va accumulando di fronte a tanto tergiversare.
Nonostante i ritardi e gli imbarazzi i meno critici continuano a sperare che il treno della decisione prima o poi possa arrivare e con esso il nome del sospirato sfidante. Noi siamo tra questi; attendiamo e proponiamo, anche se il percorso della consultazione si fa sempre più tortuoso e lacerante. Lo stesso assessore alla Sicurezza Aitini, uno dei tre candidati, ha criticato la lentezza nel decidere, invitando il segretario provinciale Tosiani a superare incertezze e indecisioni. La tanto strombazzata possibilità di arrivare a una scelta unitaria del Pd, che avrebbe eliminato il ricorso alle primarie di partito, si dimostra una vana pretesa.
Non restano che le Primarie. Ma c’è chi non desiste. C’è chi ancora crede che le componenti, le correnti, i signori delle tessere si possano intendere, trovare un compromesso, riuscire a indicare un unico candidato. C’è chi si nasconde dietro le quinte e spera di poter entrare in scena da salvatore dell’unità del partito e da leader incontrastato all’occupazione della sedia di primo cittadino. Se così fosse il Pd invece di rigenerarsi a nuova vita si condannerebbe a un definitivo declino. Un percorso infelice, tutto interno al partito e in mano a manovratori incuranti dell’esistenza in città di una vasta area di centro-sinistra che vorrebbe essere coinvolta nelle decisioni politiche, in particolare se è in gioco il governo della cosa pubblica e del bene comune.
Non bisogna dimenticare che nel 2019 la vittoria di Stefano Bonaccini, al rinnovo del secondo mandato alla presidenza della Regione Emilia-Romagna, ha visto il Pd bolognese attestarsi come primo partito con un consenso invidiabile di quasi il 40%. Gli elettori che l’hanno votato sono stati oltre duecentomila, cui vanno aggiunti gli oltre trentunomila della Lista Bonaccini Presidente (6,14% dei votanti). Questo successo per essere ripetuto o incrementato, come dovrebbe avvenire nell’elezione del 2021 per vincere al primo turno, esige che il Pd bolognese si mostri partito della Città metropolitana e soggetto politico aggregante e lungimirante. Cioè abbia la capacità di motivare, mobilitare e far partecipare i suoi iscritti, i suoi elettori e tutti i progressisti, così come riuscì a fare il Movimento delle 6000sardine alle regionali. Nulla di tutto questo appare nell’attuale fase politica cittadina.
Ci permettiamo di richiamare due buone regole, che sono imprescindibili se si vuole correggere il percorso. La prima regola è il rispetto delle norme dello statuto del partito. Le primarie sono previste e servono, mai come ora, a fare uscire il Pd dall’impasse in cui si è cacciato. Da oltre sei mesi la dirigenza non riesce a far quadrare il cerchio della selezione del candidato e tanto meno a indicare un programma decennale di governo della Città metropolitana. La seconda è il rispetto dell’articolo 49 della Carta costituzionale che recita: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Quei circa 250mila elettori come sono chiamati dal Pd e dagli altri partiti del centro-sinistra a concorrere alle scelte del migliore candidato? Con quali mezzi democratici sono invitati a decidere le linee programmatiche e a indicarne le priorità e la fattibilità?
Dopo molti mesi di assemblee, riunioni e incontri con gli organismi e i dirigenti di partito e delle istituzioni, il segretario Tosiani non è ancora riuscito a dire una parola chiara e precisa sullo stato reale del percorso fin qui seguito. Farebbe bene a convincere i suoi dirigenti che qualche migliaio d’iscritti (a proposito sarebbe buona informazione sapere quanti sono gli iscritti che hanno rinnovato la tessera nel 2020) non può avocare a sé decisioni cui sono interessati quei circa 250mila elettori progressisti e di sinistra. Tranne se si pensa che siano un popolo che va guidato e istradato, chiedendo di fidarsi del manovratore, anche quando rischia di tramutare una facile vittoria in una pesante sconfitta.
A voler essere instancabilmente costruttivi e propositivi ci permettiamo di dare un consiglio di democrazia partecipata. Il Pd, il maggiore partito del centro-sinistra, si tiri fuori dal percorso a senso unico che si è dato. Così si va a sbattere. E indichi come soluzione unitaria le Primarie aperte agli iscritti e a chi si dichiara elettore del centro-sinistra.