Non sono “due numeri” qualunque: per l’ex assessore all’ambiente di Imbeni e ex consigliere regionale Sel bisogna ancorare le scelte di Bologna a quelle due cifre per evitare illusioni e patti inconsistenti per il clima. «Matteo ci darà il numero mancante? E Galletti del centro civico sarà disponibile a impegnarsi su quei due numeri? Senza esplicitarli si conferma l’impressione che si voglia saltare il fosso ma col rischio di caderci dentro, soprattutto se a braccetto con l’ex ministro dell’ambiente»
di Ugo Mazza, già dirigente politico
Ringrazio Matteo Lepore per l’attenzione e la risposta. Premetto che la mia non era una polemica nei suoi confronti, bensì un invito a chi si candida a rendere espliciti quei “due semplici numeri” basilari per le scelte di Bologna nei prossimi 10 anni.
Il mio invito a non “saltare il fosso” era molto semplice: dimmi quanta CO2 emette Bologna oggi e di quanto dovremo ridurre le emissioni climalteranti al 2030, per essere coerenti con il Piano Ue. Se poi Lepore si pone l’obiettivo di “zero emissioni al 2030” non posso che esserne felice.
Così Lepore, ha risposto che 2030 il numero è “zero” emissioni; ora manca il “numero” delle emissioni di oggi per definire le scelte necessarie nel governo della città per eliminare ogni emissione di CO2 al 2030.
Leggo poi che Lepore propone una “alleanza per l’ambiente” a Gianluca Galletti, del centro civico. E visto che quest’ultimo è stato ministro dell’ambiente immagino che non ci saranno problemi a definire quei “due numeri”. Numeri che non hanno un segno politico, ma indicano un obiettivo da raggiungere: basta condividerlo. Quindi penso che ogni “alleanza per l’ambiente” debba partire da quei numeri per essere ancorata alla realtà ed evitare i soliti programmi generici in cui la parola “sostenibilità” viene usata per ogni cosa, anche per coprire il suo contrario.
Lepore ci darà il numero mancante? E Galletti sarà disponibile a impegnarsi su quei “due numeri”?
In attesa, insisto su quei “due numeri”, misurabili e verificabili, essenziali per definire le scelte, complessive e settore per settore, per ridurre le emissioni climalteranti della Città Metropolitana di Bologna. Non c’è dubbio che servirà anche – sottolineo “anche” – la tecnologia di cui scrive l’assessore Lepore, ma senza esplicitare quei numeri secondo me si conferma l’impressione che si voglia “saltare il fosso” con il rischio di caderci dentro, soprattutto se a braccetto con Galletti.
Nel 1995 il Comune di Bologna approvò il piano “Urban CO2”, coordinato da Iclei, il consiglio internazionale per le iniziative ambientali locali, con la partecipazione di altre città di diversi continenti, in cui quei numeri erano indicati fino al 2010, Lepore può controllare.
Purtroppo negli anni successivi l’amministrazione comunale se ne dimenticò. Basta ricordare che nel 1995 si ottenne anche la modifica del progetto dell’Alta Velocità per realizzare il Servizio Ferroviario Metropolitano, ancora oggi non completato e che l’espansione urbana ha poi puntato sull’auto e gli edifici costruiti erano energivori con elevate emissioni di CO2, quando lo si poteva evitare.
In questi ultimi anni, con il Paes, il Piano d’azione per l’energia sostenibile, il Comune ha ripreso gli studi e penso che in amministrazione ci siano ancora dirigenti in grado di elaborare quei “due numeri” per il futuro della città: basta chiederlo.
“Due numeri”, per ridurre le emissioni dei settori più climalteranti: abitazioni, mobilità, terziario, industria, agricoltura e rifiuti e per la “decarbonizzazione di Bologna”. Una scelta necessaria per fa sì che ogni programma o gara pubblica, come ogni progetto privato, quantifichi le emissioni di CO2 per poter scegliere quelli che saranno in sintonia con l’obiettivo UE 2030.
Non sarò io, quindi, ad oppormi alla necessità di «ripensare, in alcuni casi in modo radicale, modelli consolidati: il sistema di mobilità urbana, le scelte urbanistiche, la strategia per raggiungere l’efficienza energetica degli immobili, ecc.», come scrive Lepore, con la reciproca speranza che la tecnologia ci aiuti rapidamente nella sostituzione dell’energia fossile con l’energia rinnovabile, elettrica e idrogeno verde. Ma insisto: quei “due numeri” servono per rendere chiaro che non si scherza, che non esiste un “mago” con la bacchetta magica che risolve il problema, che basti avere pazienza e aspettare il suo arrivo. La stessa vicenda Covid-19 è lì a testimoniare che la prevenzione è decisiva e che la scelta della cura quando il male è fuori controllo di per sé non risolve il problema.
Fuor di metafora, io penso che bisogna ancorare le scelte di Bologna a “quei due numeri”, usare la fantasia per ottenere il consenso popolare necessario e la tecnologia per rendere più facile la sua realizzazione. Insisto: quei “due numeri” sono fondamentali per evitare illusioni e “patti inconsistenti” per il clima.
Concordo su quanto scritto per quanto riguarda il metodo! Fotografiamo la realtà ad una data certa e da lì partiamo per definire i progetti che ci condurranno all’obbiettivo 2030! Progetti per ogni ambito concorrente con obiettivi di breve medio e lungo periodo.
Opportuno e centrato l’intervento di Ugo Mazza. Si pone anche un’altra domanda (ai candidati e alla città): dato un obbiettivo quantitativo di riduzione, specie se ambizioso com e quello posto dalla UE: come ci arriviamo, ovvero attraverso quale percorso, coinvolgendo chi? La risposta di movimenti internazionali come Extinction Rebellion e altri é: coinvolgere seriamente i cittadini, sul modello delle Assemblee di Cittadine e Cittadini, formate da un campione rappresentativo della popolazione. Il 13 e il 20 gennaio i Consiglieri Comunali ascolteranno le esperienze di questo tipo di altri Paesi europei: Belgio, Gran Bretagna, Polonia, Irlanda e Francia
Rodolfo Lewanski
In realtà il primo numero chiesto da Ugo Mazza ci sarebbe, anche se richiede un po’ di lavoro per interpretarlo correttamente, perché purtroppo non esiste un “numero magico” che rappresenti con esattezza le emissioni climalteranti di un territorio.
Secondo l’ultimo monitoraggio del PAESC comunale, per esempio, Bologna nel 2018 ha emesso 1,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, cioè circa 4,6 tonnellate pro-capite. Ma bisogna considerare che il PAESC include solo le fonti di emissione su cui il Comune ha competenza e su cui può agire direttamente attraverso il piano di adattamento.
Non considera ad esempio le emissioni derivanti dal trasporto aereo e ferroviario (che sono di competenza nazionale) o dallo smaltimento dei rifiuti (di competenza regionale). Nel settore dei trasporti su strada vengono considerate solo le emissioni dei veicoli immatricolati sul territorio comunale, ed è intuitivo che in una città caratterizzata da un forte pendolarismo e attraversata da tre autostrade lo scostamento fra emissioni incluse nel PAESC ed emissioni reali in questo settore può essere notevole.
Un altra fonte utile per stimare le emissioni locali sono i dati pubblicati da ISPRA a livello nazionale, e che Istat riporta anche con dettaglio regionale. Secondo ISPRA in Italia nel 2018 sono state emesse 428 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, ovvero circa 7,1 tonnellate pro-capite. Per l’Emilia Romagna Istat rileva al 2015 emissioni pro capite pari a 8,7 tonnellate. In base a questi dati le emissioni di CO2 equivalente per i 390.000 abitanti di Bologna sarebbero comprese fra 2,8 e 3,4 milioni di tonnellate, numeri molto più alti di quello riportato nel PAESC comunale.
Qual è il numero “giusto”? Sarebbe auspicabile che gli esperti del settore, che certamente non mancano sul territorio, aiutassero tutti, amministratori e cittadini, a fare chiarezza sui dati.
Va poi detto che il concetto di “emissioni zero” è fuorviante. Azzerare la CO2 di origine antropica è impossibile. La neutralità carbonica non si raggiunge azzerando le emissioni, ma garantendo che le emissioni siano interamente compensate dagli assorbimenti di suolo, foreste e oceani, che è poi il motivo per cui cementificare ogni angolino libero di città o distruggere forestazione urbana per costruire condomini e centri commerciali, o per allargare autostrade in mezzo alla città, sono pessime idee. E su questo, non sui massimi sistemi, sarebbe il caso di interrogare chi si candida a governare Bologna nel prossimo quinquennio.
Attualmente a livello mondiale vengono emessi circa 33 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno, mentre l’assorbimento naturale è di circa 11 miliardi di tonnellate. Visto che è impossibile triplicare le capacità di assorbimento del pianeta, per arrivare alla neutralità carbonica bisogna ridurre di due terzi le emissioni rispetto alla situazione attuale. E questo, se ho capito bene, è il secondo numero chiesto da Ugo Mazza. A Matteo Lepore e agli altri candidati secondo me non bisognerebbe chiedere di dare i numeri, che ci sono e che gli esperti possono aiutare a interpretare correttamente, ma di chiarire subito in che modo intendono raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni.
Fonti:
Comune di Bologna, monitoraggio PAESC: http://www.comune.bologna.it/paes/servizi/143:15224/47199/
ISPRA, Inventario delle emissioni 1990-2018: https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/inventario-nazionale-delle-emissioni-in-atmosfera-1990-2018.-informative-inventory-report-2020
ISTAT: Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo (obiettivo tematico 4): https://www.istat.it/it/archivio/16777
Quanto posto da Ugo Mazza a Matteo Lepore ma che andrebbe posto a chiunque oggi sia al governo o si candidi a farlo, è esattamente il problema, oggi ma soprattutto domani.
Il rischio è che gli annunci ‘net-zero per il 2050’ restino annunci vuoti, o solo in parte riempiti con gli investimenti necessari per realizzare un’economia a zero emissioni.
Le decisioni del governo inglese di non intervenire contro il progetto di aprire una nuova miniera di carbone o quelle della Regione Emilia-Romagna, da un lato, di appoggiare il progetto di ENI di ‘cattura e sequestro del carbonio’ (CCS) in depositi sotterranei e, dall’altro, di pronunciarsi contro i parchi eolici off-shore mostrano il vero significato del cosiddetto ‘net zero nel 2050’: obiettivi vaghi, insufficienti e proiettati nel futuro, che fondamentalmente non significano nulla oggi.
A dicembre, in due distinti rapporti, il programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep, United Nations Environment Programme) ha evidenziato l’enorme divario tra “dove si sta andando” e “dove si dovrebbe andare” in tema di cambiamenti climatici. In sostanza, scrive l’Unep, l’attuale modello di sviluppo economico-energetico è totalmente incompatibile con gli obiettivi per il clima al 2030 e 2050, perché quasi tutti i governi stanno pianificando di incrementare la produzione di carbone o petrolio o gas del 2% l’anno in media da qui al 2030, anziché ridurla. Ovvero le azioni dei governi su scala mondiale contraddicono gli annunci di obiettivi ‘net-zero’ per azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro metà secolo.
Ecco perché diventa fondamentale utilizzare i ‘piani di ripresa economica e resilienza’ per investire nella transizione “verde”: fonti rinnovabili, efficienza energetica, tutela degli ecosistemi e della biodiversità, auto elettriche, in modo da ridurre velocemente e costantemente le emissioni di CO2.
Bisogna passare dal dire al fare: basta chiacchiere!