Uno bianca: troppi dubbi, i cronisti riaprano i loro diari

La digitalizzazione degli atti, di cui si parla, renderebbe certamente più agevole consultare il materiale esistente ma da sola non basta. Perché non promuovere, con l’impegno del Comune, incontri pubblici con i giornalisti che seguirono con professionalità e passione quei sette anni di sangue e di clima pesante tra i vari uffici pubblici per riportarci a quei giorni e a quelle polemiche? Le condanne sono incontestabili, ma è utile aggiungere quegli sguardi alle pagine di una storia da studiare

di Andrea Benetti, pubblicista, associazione parenti vittime strage Ustica


Vedo riemergere dubbi e perplessità sulla vicenda dell’Uno bianca: sono stati espressi lo scorso anno con un documentario e sono riemersi in occasione della manifestazione di gennaio al Pilastro.

E si ha notizie di iniziative nei riguardi della Magistratura, qualcuna preannunciata e qualcuna già partita. Certamente non per mettere in dubbio le responsabilità dei condannati ma per completare il quadro di una situazione criminosa che tanto sangue ha portato nella nostra città e nella regione.

Mi piacerebbe poter chiedere ai giornalisti bolognesi che seguirono con professionalità e passione quelle vicende di riaprire i loro diari per riportarci a quei giorni, a quelle certezze, a quei dubbi, a quelle polemiche.

Personalmente mi pare di ricordare un clima pesante, avvelenato dalle polemiche contro il sindaco Renzo Imbeni a cui si imputava, da parte della Prefettura, una certa responsabilità oggettiva sui fatti, per il declino della quiete e dell’ordine pubblico a Bologna.

Ricordo perplessità dei poliziotti bolognesi sugli esiti delle indagini in Romagna, così come tra i giornalisti c’era quasi incredulità per gli episodi che avevano portato alla cattura dei banditi. Si segnalavano strani articoli sulla stampa nazionale, si aveva quasi la sensazione che il fenomeno “Uno bianca” fosse stato in qualche modo “sopportato” se non guidato, e poi scaricato. Vennero indagini affidate all’ex pm Antonio Di Pietro per la Commissione Stragi e un’indagine ministeriale che portò a definire la Questura di Bologna la peggiore d’Italia.

Risentire la narrazione di quelle impressioni, rivivere quei momenti con gli occhi del tempo potrebbe essere un modo per riappropriarsi del problema che mi piacerebbe pensare poi di rileggere con gli occhi della Storia. Non per stravolgere il piano delle responsabilità penali, che sono ampiamente assodate, ma per studiare con più profondità e chiarezza il quadro complessivo. Per meglio dire aprire una pagina di storia su una vicenda dolorosa, sanguinosa e lunga della nostra città. E qui mi piacerebbe incontrare l’impegno del Comune.

Proprio per la Storia (potrebbe essere un’occasione anche per chiarire gli strumenti che si vogliono dare a questo settore, diciamo così il suo progetto, anche in campagna elettorale) aprire una stagione di profonda e vera ricerca storica che potrebbe anche contemplare la richiesta – come appendice o allargamento della “Direttiva Renzi”  – di rendere disponibili all’Archivio di Stato di Bologna tutta la documentazione di tutte le Amministrazioni dello Stato sui fatti, al di là dei limiti di legge vigenti. Una totale pubblicazione e messa a disposizione.

Non accontentandosi quindi di una digitalizzazione (se ne parla in questi giorni ed è un processo che devono curare i ministeri di Giustizia e Cultura secondo un programma nazionale) che evidentemente è solo uno strumento tecnico, certamente positivo, ma che non può portare a nessun elemento di novità, ma può servire soltanto a rendere più agevole consultare l’esistente.

Insomma oltre alla magistratura che persegue i reati, bisognerebbe aprire anche la pagina della Storia.


Un pensiero riguardo “Uno bianca: troppi dubbi, i cronisti riaprano i loro diari

  1. Caro Andrea, ti ringrazio per questo tuo intervento e mi sento in obbligo di chiarire, anche a nome dell’Associazione dei familiari delle vittime della Uno bianca, di cui sono vicepresidente, alcuni argomenti che hai toccato.
    La digitalizzazione degli atti processuali è da noi ritenuta indispensabile e urgente: in primo luogo, perché decine e decine di faldoni cartacei rischiano ormai di deteriorarsi materialmente e dunque di diventare non più consultabili; in secondo luogo, perché costituirebbero un patrimonio di documenti a disposizione di chi voglia in futuro approfondire una vicenda tanto dolorosa, lunga, complessa e anomala. E ciò è tanto più necessario quanto più passano gli anni ed in tempi in cui dettagli di poco conto o impressioni di personaggi a margine della vicenda rischiano di passare per scoop clamorosi.
    Personalmente tengo anche molto alla digitalizzazione perché così si potrà notare l’enorme lavoro svolto da un magistrato come il dr. Giovannini, insieme al suo pool, e confrontarlo con l’incapacità, superficialità o peggio, di tanti altri appartenenti alla magistratura o alle forze dell’ordine che negli anni (più di 7) precedenti alla cattura dei Savi e dei loro complici, si erano mossi in direzioni sbagliate o non si erano mossi affatto.
    Per quanto riguarda invece il coinvolgimento dei giornalisti dell’epoca, ti ricordo che abbiamo sempre cercato il loro contributo, tanto da collaborare con Minoli, Gabanelli, Lucarelli, nelle loro trasmissioni per il grande pubblico e a livello locale con Tura, Moscato, Santini (che tra l’altro è un nostro associato) e con tutti gli scrittori che si sono occupati della vicenda, come Beccaria, Pecora, ancora Lucarelli e altri ancora. Tanto che, proprio per ricostruire il clima di quegli anni, buona parte dei giornalisti e degli scrittori citati furono coinvolti in uno spettacolo teatrale dal titolo “Uno bianca: la lunga strage”, in occasione della commemorazione delle vittime nel 2017.
    Detto questo, ben venga ogni proposta di ulteriore approfondimento o ricerca storica, sia sulla vicenda in sé, sia di inserimento della stessa nella Storia con la S maiuscola. Anzi tu sai bene come proprio questo sia il mio principale obiettivo da anni, con il MIUR e con gli studenti, e quanto vorrei si arrivasse a costruire una unità didattica di storia davvero moderna che comprendesse anche le nostre vicende.
    Ragion per cui, anche la messa a disposizione nell’Archivio di stato di tutta la documentazione relativa è di certo un ottimo suggerimento. Con la speranza che qualche giovane studioso, adeguatamente sostenuto dalle istituzioni, voglia in futuro mettersi seriamente a riflettere su quanto accaduto dal 1987 al 1994 a Bologna e dintorni, ma che non sarebbe dovuto durare tanto.
    Un caro saluto a te, alla redazione e a tutti i lettori.

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