Pamela, una campionessa in prima linea

A ventotto anni, la Noutcho Sawa, stella della Bolognina Boxe, ha conquistato il suo primo titolo italiano. Il giorno dopo era in corsia al Pronto Soccorso del Maggiore, dove lavora. “Perché questo nemico si batte solo facendo gruppo”

di Marco Tarozzi, giornalista


La palestra di via del Lavoro 17 è un porto di mare, un incrocio di etnie. Succede, dove si tira di boxe, oggi certamente una delle discipline sportive in cui l’inclusione è realtà, dove la parola “straniero” è annullata dalla quotidianità. Qui vive e coltiva i propri talenti la Bolognina Boxe, fondata appena tre anni e mezzo fa da Alessandro Danè, arricchita dall’arrivo di una colonna del pugilato bolognese, Franco Palmieri, una vita alla Sempre Avanti, venuto a fare il direttore sportivo.

È una vita complicata e stravolta dalla pandemia, che ha azzerato tutti i corsi sui quali si fonda e si sostiene la vita stessa della società. Spiega Palmieri: “Qui siamo arrivati da un paio d’anni, investendo e rinnovando i locali. Oggi andiamo avanti solo con la boxe, che è sport olimpico, ma i corsi che sono la nostra sopravvivenza sono fermi. Abbiamo un’autonomia di quattro, cinque mesi, non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Ma intanto cerchiamo di allenare una quarantina di atleti, tanti dei quali stranieri, offrendo un’opportunità a tutti”.

È proprio in un momento così che arriva una di quelle notizie che danno respiro e nuova carica. Pamela è tornata da Avellino con in tasca il titolo italiano Elite di pugilato, categoria 64 chilogrammi. Proprio lei, che non ha una storia qualunque, ha portato alla Bolognina Boxe la prima medaglia pesante della sua storia. Un oro brillantissimo.

Il nome completo è Pamela Malvina Noutcho Sawa. È nata in Camerun ventotto anni fa, è arrivata in Italia che ne aveva otto. La famiglia si è stabilita a Perugia, e infatti l’accento umbro le è rimasto incollato addosso. Lei ha scelto di studiare all’Università di Bologna una decina di anni fa.

“Sono arrivata nel 2011, ho frequentato il corso di laurea triennale in Infermieristica, poi la Magistrale. Ho lavorato all’ospedale di Sassuolo prima di arrivare al Pronto Soccorso del Maggiore. La mia famiglia è rimasta a Perugia, io ho scelto di venire a Bologna per crescere un po’ da sola. In questa città, tanti arrivano da fuori. Un melting-pot in cui cerchi accoglienza, e finisci per coltivare un senso di amicizia e fratellanza”.

Sei anni fa, l’incontro con il pugilato. “Nel 2015 facevo tirocinio al centro Beltrame, che accoglie persone senza fissa dimora. Lì c’è una piccola palestra, dove ho iniziato per curiosità a tirare di boxe. Nel tempo ho conosciuto Alessandro, che è diventato il mio allenatore e mi ha portata alla Bolognina Boxe. Ho imparato un po’ alla volta, un anno fa ai campionati italiani sono finita subito fuori, stavolta ho disputato tre match in quattro giorni e sono arrivata in fondo. È stata dura, emotivamente e fisicamente, ma sono soddisfatta perché sul ring ho espresso tutto ciò che ho incamerato negli ultimi mesi di allenamenti. Questo titolo mi dà grandi motivazioni: per migliorare ancora tecnica e stile, magari per confermarmi l’anno prossimo. Ma se c’è qualcosa che questo periodo strano mi ha insegnato, è che il futuro non puoi prevederlo mai del tutto, che non sapremo mai se ci sarà un’altra occasione. Dunque, vale la pena fare le cose per bene, dare il meglio quando arriva il momento giusto”.

È strano, tornare a casa da campionessa italiana e tornare subito alla quotidianità. Lunedì notte, Pamela era già al lavoro, in prima linea. “Forse questo mestiere particolare mi ha rinforzato, mi ha insegnato a sfruttare le occasioni. Non uso mai il lavoro come scusa, anche se ci sono giorni in cui torno a casa carica di emozioni e stanchezza, in cui vorrei chiudermi nella mia stanza e non vedere nessuno. E invece so che devo reagire, andare in palestra. Quando ha riaperto, avevo paura per i compagni, visto il lavoro che faccio. Ho usato mille attenzioni, ma non ho mai mollato. In fondo, ci sono similitudini tra stare su un ring e in corsia. Contro un avversario imprevedibile non puoi mai abbassare la guardia, devi sempre farti trovare pronto, reattivo. E sai che non puoi combattere a lungo da sola: io credo di aver fatto qualcosa di unico per la mia carriera, ma poi sono rientrata al Maggiore e mi sono subito sentita parte di un gruppo. Si lotta e si combatte insieme, anche nella vita”.


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