Bologna prima per qualità della vita ma troppi non ne beneficiano

L’economia della città già prima del Covid non stava tanto bene e ora le diseguaglianze aumentano. Solo il 5,1% dichiara oltre 75mila euro eppure la quota dei ricchi è 23 volte maggiore del 20% più povero. A soffrire sempre più sono giovani e donne, soprattutto stranieri. Ci sono troppi indigenti spesso invisibili: 96mila contribuenti dichiarano meno di 15mila euro. Le nuove generazioni stanno sempre peggio e aumentano gli anziani “over 80”, spesso soli. Troppi allarmi per i primi della classe

di Pier Giorgio Ardeni, economista dello sviluppo


Bologna risulta prima per qualità della vita, dice il Sole 24 ore, e il suo reddito pro-capite è tra i più alti in Italia. Eppure anche Bologna ha un’economia che già non stava tanto meglio di qualche anno fa, ancor prima della sindemia. E anche Bologna ha le sue disuguaglianze, di reddito e non solo.

Nel 2019, secondo gli ultimi dati, appena il 5,1% dei bolognesi ha dichiarato un importo lordo superiore a 75.000 euro, pur ricevendo un quarto del totale dei redditi. Viceversa, il 62.5% dei bolognesi ha dichiarato un reddito inferiore ai 26.000 euro, pari a meno di un terzo del totale. I redditi di quel 5% più ricco sono quasi 23 volte maggiori del 20% più povero.

Il fatto è che le diseguaglianze nella distribuzione del reddito non fanno che aumentare e la distanza tra “ricchi” e “poveri” continua a crescere, a Bologna come in Italia. Il confronto con il 2002 mostra che per tutte le classi di età inferiori ai 55 anni il reddito è calato, in misura maggiore al calare dell’età. I giovani sono oggi molto più poveri di allora. Agli «over 60», che sono i quattro decimi della popolazione, va in tasca il 44,2% del reddito totale (era il 36,4% nel 2002). Per contro, gli «under 30» (il 9% dei residenti, erano l’11,5) sono più svantaggiati: nel 2002 dichiaravano il 6,2% dei redditi complessivi, oggi sono al 3,9%.

Anche a Bologna ci sono molti poveri, forse invisibili. Sono 96 mila i contribuenti con un reddito inferiore a 15.000 euro. La maggior parte dei contribuenti vive da single (più di un terzo del totale delle famiglie) ma sono anche quelli con reddito pro-capite più alto. Le famiglie numerose, invece, sono le più svantaggiate, soprattutto quelle con quattro o cinque membri, così come in difficoltà appaiono le famiglie con reddito principale di donne con figli. Le famiglie che stanno meglio sono quelle di coniugi senza figli, seguite da quelle di coniugi con un figlio e di padri con un figlio.

La polarizzazione territoriale, già nota, appare marcata, con i redditi mediani più elevati nelle zone Colli, Murri e nel centro storico cittadino e i redditi più bassi nella periferia ovest e nord e in Bolognina e San Donato.

Poco più di un decimo dei contribuenti è composto da residenti stranieri (tra i residenti sono il 13% circa), soprattutto nelle fasce d’età più giovani (nel 2002 erano solo il 3,5% dei contribuenti). Il problema, per loro e per Bologna, è che gli stranieri hanno un reddito mediano che è la metà di quello degli italiani. Anche il gap reddituale cresce all’aumentare dell’età. Per gli stranieri maschi il reddito è quasi la metà di quello degli italiani, le donne straniere sono ancor più sfavorite.

Anche la demografia, però, evidenzia criticità. Bologna invecchia, con un numero crescente di «over 80» e molti anziani soli. In prospettiva, ciò pone i noti problemi di servizi domiciliari, assistenza sanitaria, socialità. 

Il saldo naturale è in lieve calo da qualche anno (vi sono più morti che nati) e anche il saldo migratorio è in discesa: tre immigrati su quattro sono italiani, ma sono gli italiani che emigrano più degli stranieri. 

La scolarità è diffusa, i giovani iscritti alle scuole superiori sono più della media nazionale e in aumento, mentre gli stranieri e i figli di stranieri (anche se nati in Italia) frequentano soprattutto primarie e medie. Notevole è anche la quota di laureati tra i giovani residenti. Eppure, segnalano i dati dei servizi sociali e del Dipartimento di salute mentale, il disagio giovanile tra gli adolescenti è abbastanza diffuso (con alcuni indicatori da tenere d’occhio). Importante è il fatto che il 16.2% dei minori viva in famiglie mono-genitoriali. DSA e abbandono scolastico sono fenomeni non irrilevanti.

Prima della sindemia, l’occupazione era alta (pur se in calo) e la disoccupazione bassa, anche nelle fasce giovani (rispetto alle medie nazionali). Tuttavia, era la fascia di età 25-34 la più in difficoltà, soprattutto tra le donne. Il numero delle imprese era rimasto stabile, con una buona tenuta della produzione industriale e dei servizi. I dati ci diranno quanto la sindemia ha inciso sull’economia bolognese: quelli che provengono dall’osservatorio regionale per i primi tre trimestri del 2020 non lasciano presagire nulla di buono, soprattutto tra le fasce più deboli e le piccole imprese più esposte.

In una situazione che vede un ricambio demografico accentuato in città, politici, amministratori e erogatori di servizi devono tenere conto che a Bologna, ogni cinque anni, un quinto della popolazione cambia e che un terzo della popolazione bolognese ha un livello di reddito bassissimo. Se nell’ultimo ventennio i redditi sono stati lievemente aumentati, nel complesso (ma sappiamo che dal 2020 il quadro sarà diverso), le disuguaglianze sono state crescenti.

Bologna è ricca, nel contesto italiano, attrae italiani e stranieri, studenti e con titolo di studio medio e medio-alto, ma vede anche un turn-over di popolazione che la porta a invecchiare (ad andarsene sono i giovani). La città cambia, ma i giovani stanno peggio di prima e sono (in parte) a disagio. Il divario di reddito tra fasce sociali e generazioni è in aumento. Attenzione, quindi: la qualità della vita sarà alta, ma è chiaro che non tutti ne beneficiano.

Photo credits: Marco Biondi


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