Elezioni in autunno: garantire il diritto di voto a chi sarà via

Si andrà alle urne per la Regione Calabria e per vari Comuni, tra cui quello di Bologna, e non si sa ancora se la pandemia darà tregua e ci si potrà spostare per un esercizio fondamentale della piena cittadinanza. Una legislazione antiquata, improntata a diffidenza e indolenza burocratica, consente solo agli italiani all’estero di esercitare il voto senza ritornare a casa, non anche a chi sia lontano da casa per qualche motivo. Con un solo vero perché: la mancanza di volontà politica

di Roberto Bin, costituzionalista


In autunno ampia parte degli italiani andrà al voto. Elezioni regionali in Calabria, elezioni amministrative in diversi Comuni, tra cui Bologna. Ma c’è la pandemia, e non si sa come sarà la situazione: ci si potrà spostare per esercitare il diritto di voto se non si abita nel luogo di residenza?

Non sembra che il problema del voto per chi è fuori sede sia percepito come urgente: e invece lo è. Votare è il diritto politico fondamentale dei cittadini, che dovrebbe essere favorito in tutti i modi. Invece una legislazione antiquata, improntata a diffidenza e indolenza burocratica consente solo agli italiani all’estero di esercitare il voto senza ritornare a casa, non anche a chi sia lontano da casa. Per quale motivo?

Alla Camera giace una proposta di legge, presentata dalla ex ministro Madia e dal gruppo Pd il 28 marzo 2019 (c.1714), il cui titolo inizia con «Disposizioni per l’esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza». In due anni non ha fatto neppure un centimetro del suo complicato iter di approvazione. Forse non è un male, perché è un testo legislativo redatto nel più perfetto stile burocratico-ostruzionistico. Lo annuncia già la seconda parte del titolo: la legge apre la possibilità di esercitare il diritto di voto solo «in caso di assenza per motivi di studio, lavoro o cura»: bisogna presentare la domanda in via telematica tramite l’identità digitale Spid, allegando la documentazione che «comprovi» i motivi per cui il richiedente si troverà fuori della sua regione di appartenenza… Inizia così per l’aspirante elettore un percorso troppo travagliato perché sia qui riassunto, che consentirebbe l’esercizio del voto attraverso la posta (per il futuro, il governo verrebbe delegato a varare una sperimentazione di sistemi telematici di votazione, sperimentazione che il M5S vorrebbe fosse tentata già in occasione delle prossime elezioni comunali).

In ogni caso la proposta Madia si occupa soltanto delle votazioni per il referendum, le Camere e il Parlamento europeo: Regionali e Amministrative non sono prese in considerazione. Le stesse limitazioni incontra anche l’emendamento alla legge elettorale proposto dall’on. Nesci e da altri deputati M5S (c.543), approvato alla Camera nell’ottobre 2018 e da allora fermo in Commissione al Senato.

C’è qualcosa di paradossale. Dopo le dimissioni del Governo Conte II, in tanti hanno dichiarato (Mattarella in primis) che andava scartata l’ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere perché non era consigliabile convocare il voto in tempi di pandemia. Ragionevole: ma è incredibile che non si sia messa mano a una legge che consenta il voto a distanza in uno dei vari modi in cui è praticabile. Si è invece spostata la data delle elezioni calabresi e nei Comuni in scadenza «al fine di evitare, con riferimento all’espletamento delle suddette procedure, fenomeni di assembramento di persone e condizioni di contiguità sociale al di sotto delle misure precauzionali adottate», si legge nel preambolo del Dl 5 marzo 2021, n. 25.

Il voto per corrispondenza è prassi consolidata in molti Paesi, senza che nessuno (a parte Trump) abbia da lagnarsi. Troppo complicato o insicuro per introdurlo in Italia? Bene, c’è una soluzione semplice e banale: entro un termine ragionevole (la proposta Madia indica 45 giorni prima della data del voto), chi prevede di trovarsi il giorno del voto in un comune diverso da quello in cui dovrebbe votare chiede di spostare scheda e documentazione nella prefettura in cui sarà domiciliato il giorno del voto, e lì si presenterà per il voto.

È davvero necessario che abbia un “giustificato motivo” che lo tiene lontano? Assolutamente no, in Italia il voto è un diritto e la libertà di circolazione anche: cosa c’è da giustificare? È meccanismo troppo complicato e non c’è tempo per varare una legge che lo disciplini? No, la legge deve solo sancire il diritto che hanno tutti di esercitare il voto laddove siano domiciliati. Per il resto basta una circolare – una delle migliaia che il Ministero degli interni fa piovere sulle prefetture – per regolare procedure che di per sé sono semplicissime, senza dover imporre all’aspirante elettore aggravi di documentazioni, dichiarazioni ecc.

Perché votare è diritto fondamentale, inalienabile, di tutti. Per questo anche se le regioni (e quelle a statuto speciale in particolare) hanno autonomia legislativa per disciplinare l’elezione dei propri organi, la norma che la legge dello Stato deve introdurre per assicurare il diritto di voto ai fuori sede s’imporrebbe direttamente anche nel loro territorio: anche per le elezioni regionali e anche nel caso la regione non fosse adempiente all’obbligo di adattare la propria legislazione rapidamente alle norme varate dallo Stato per garantire i diritti degli elettori. «Al fine di assicurare il pieno esercizio dei diritti politici e l’unità giuridica della Repubblica» – scriveva il Dl 31 luglio 2020, n. 86, emanato per imporre alla Regione Puglia di adeguare le proprie regole elettorali al «principio di promozione delle pari opportunità tra donne e uomini». La strada c’è ed è chiara. Manca solo la volontà politica di favorire in ogni modo l’esercizio del diritto di voto, anche – ma non solo – in tempi di pandemia.


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