Nelle quattro lezioni di Cacciari, Cartabia, Maggiani e Dionigi pubblicate dall’Università di Bologna ritroviamo un po’ lo spirito del Decameron: un bisogno di raccontare, mentre i contagi preoccupano e le relazioni si inaspriscono. Ma senza il teatro e senza gli appuntamenti culturali, surrogati disperatamente con tentativi virtuali, la nostra città è più povera
di Cristian Tracà, docente
L’immortalità dei classici, le sere di maggio, la biciclettata e il gelato in Via Castiglione a parlare di quanto sia bello vivere a Bologna e di quella lezione così profonda da far venire i brividi, nelle viscere delle parole e del pensiero. I grandi pensatori, le grandi attrici, i migliori interpreti, le menti più brillanti, l’austero rigore di Santa Lucia e quella voglia di tornare al Liceo con il vocabolario di greco sottomano a tradurre e interpretare, facendo esercizio per la vita.
Sarà stata solo una bolla di umanisti in preda all’utopia, ma la città che si cullava nell’eterno fascino delle radici classiche ha magnificato la magia universitaria di Bologna, quella calamita che lega per sempre tutti gli studenti e le studentesse che hanno scelto di vivere all’ombra della Dotta per questa sua capacità di unire una bella vivibilità a un grande bisogno di introspezione e di storia.
Esiodo, Platone, Eschilo, Cicerone, i Vangeli, l’Apocalisse di Giovanni, Pindaro, Gellio, Dante, Leibniz. Nelle quattro lezioni di Cacciari, Cartabia, Maggiani e Dionigi che sono andate in onda dal primo aprile fino a giorno 6 (ma disponibili sempre sul canale YouTube dell’Alma Mater, insieme alle bellissime registrazioni degli eventi delle passate edizioni), ritroviamo un po’ lo spirito del Decameron: un bisogno di raccontare, mentre i contagi preoccupano e le relazioni si inaspriscono; una narrazione interrotta dai giorni del riposo e della festa, ancora una volta in linea con l’illustre antecedente boccaccesco.
Quest’anno si ragiona di rapporto tra giustizia e ricchezza, legge e natura, politica e società ripercorrendo l’etimologia e l’evoluzione dei principali termini che regolano ancora oggi il nostro contratto sociale, la nostra idea del diritto e della convivenza. Ad ogni edizione si ripete il miracolo: troviamo nel modo in cui abbiamo dato i nomi alle cose, la gran parte delle risposte ai nostri dubbi più sconvolgenti.
Il legame tra parola e giustizia, del resto – come ci ha ricordato la Ministra della Giustizia nella sua riflessione sull’Orestea – è essenziale, inscindibile: è per questo che i classici devono tornare in scena. Va bene anche un ciclo esclusivamente audiovisivo come quello di questi giorni, purché non si recida il legame con la città, almeno con la sua parte più speculativa, quella che in questi mesi si sente più povera senza il teatro e senza gli appuntamenti culturali, surrogati disperatamente con tentativi virtuali.
I bolognesi rispondono da quasi vent’anni con gioia a questi grandi appuntamenti culturali (come dimenticare un altro grande evento clou sotto le Torri quale Repubblica delle idee?), aspettando anche ore in religiosa attesa per ritirare i biglietti ed accedere ai luoghi. L’Università e la capacità di mettere in rete politica e cultura sono da sempre i fattori di successo di questa città, che deve preservare questa qualità nello sguardo e nella parola, sfuggendo alla brutta semplificazione dei pensieri e della comunicazione arrivati con l’antipolitica e da cui bisogna riemergere.
Chi si candida ad amministrare Bologna non può non pensare che questa città trovi gran parte del suo orizzonte in momenti come questo. Le letture dal vivo torneranno a risuonare molto presto nel loro luogo principe: il loro valore universale ha valicato guerre, censure e pandemie. Non sarà quest’ennesima emergenza della storia a spegnere questo amore, anzi probabilmente il nostro legame sarà rafforzato.