Bologna, le Primarie e il futuro davanti

Non dovrebbe poter partecipare chiunque, pur privo di tessera o adesione formale. Era un’americanata quella introdotta dai fondatori del Pd e ora mostra i suoi limiti. Difficile pensare che, come negli Usa, dopo il 20 giugno i due candidati mettano insieme forze e sponsor. Certo, bisogna guardare al centro e a sinistra, senza dimenticare però che i «moderati» sono in quel 5% che porta a casa un quarto del reddito cittadino. A sinistra si dovrebbe guardare a chi è povero, come insegna Morgantini

di Pier Giorgio Ardeni, economista dello sviluppo


Che «l’americanata» introdotta dai fondatori del Pd con l’adozione delle Primarie prima o poi arrivasse a mostrare i suoi limiti era inevitabile: perché o si fanno «le cose per bene» o ci si rinuncia. Alle Primarie, di partito o di coalizione, non dovrebbe poter partecipare chiunque: una tessera, una forma di adesione formale andrebbe richiesta. Non solo, ma come gli americani insegnano, fatte le Primarie un/a candidato/a emerge (ma d’ora in poi, userò solo il maschile neutro), dopodiché i contendenti gli si schiereranno uniti dietro (come ha mostrato Sanders, addirittura invitando a votare Biden). Il minimo che ci si dovrebbe aspettare è che, quindi, passato il 20 giugno, i nostri due candidati attuali mettano insieme le forze (l’uno dietro all’altra, o viceversa) e così i loro «sponsor». 

Per come si stanno mettendo le cose, non pare facile che ciò accada e, per il momento, lo scontro è tutto sugli «schieramenti», mentre i contenuti restano sullo sfondo. C’è chi dice di «guardare a sinistra», chi «ai moderati», sciorinando le ovvie parole chiave: ambiente, welfare, diritti. Dalle quali si fatica a distinguere un profilo. Ma se il profilo «politico» non è altro che la persona, e la sua storia, faremmo fatica a distinguerli: tra chi votò per Renzi e ora sostiene che «Renzi non passerà a Bologna» e chi votò Civati, per poi trovare il sostegno del Renzi stesso e seguirlo nella sua compagine corsara, non è evidente cosa questi percorsi mostrino, se non una certa malleabilità. Dovrà allora essere ciò che si è fatto al governo – e cosa si intende fare – che più indicherà la possibile traiettoria futura.

La prima e fondamentale sarebbe quella di «cambiare registro». Perché non è vero che a Bologna va tutto bene e che si tratta solo di «partire dalle eccellenze». Un cambiamento di passo nel governare, nel pensare l’amministrazione e a ciò che essa può fare. 

Per una città che un tempo vide Julian Beck e il suo Living theatre fare teatro per le vie della città, o che mise in piedi una «Antigone delle città» per commemorare la strage della stazione, la cultura e i suoi protagonisti erano promossi, incoraggiati e sostenuti dalla municipalità. Perché non può essere «il mercato» a farli sopravvivere. Bene il cinema in piazza – con un’idea di socialità un tantino rigida, però – ma la cultura non è solo «intrattenimento» e legare cultura e turismo può far bene agli esercenti pubblici ma rischia di fare deserto. Bologna non può essere solo la città dei tavolini sotto i portici. All’università, peraltro, non abbiamo visto spesso rappresentanti della giunta partecipare a iniziative congiunte, incalzare gli accademici a spendersi per la città, «fare cultura» per essa. Non basta aver messo in piedi una struttura, una «fondazione», assieme all’università, per fare «innovazione urbana». Dare e fare di più per e con le istituzioni culturali della città e con i mille artisti, intellettuali, operatori che producono cultura.

Si deve guardare tanto a sinistra quanto ai moderati, certo. Senza dimenticare però che i fantomatici «moderati», probabilmente, sono in quel 5% dei residenti che porta a casa un quarto del reddito cittadino, 23 volte più ricco del quarto più povero, mentre il 62.5% dei bolognesi vive con un reddito mensile inferiore ai 2.000 euro lordi al mese. Che ha problemi di lavoro, casa, scuola per i figli, nidi, assistenza per anziani. Oggi ancor più provati dalla pandemia, come ci ricorda il buon Roberto Morgantini di Cucine Popolari. Guardare a sinistra vuol dire guardare a loro. Guardare ai moderati non è mettere in piedi operazioni alla FICO, di cui nessuno ha capito l’utilità. Un supermercato di «eccellenze alimentari» che somiglia più a un costoso terminal d’aeroporto che a una «fabbrica contadina». Si poteva fare una vera fabbrica davvero contadina, con azionariato diffuso, chiamando a raccolta le centinaia di piccoli coltivatori anche biologici dell’area metropolitana. Si è preferita un’operazione da «big business», con gli esiti che sappiamo.

Se di eccellenza si vuole parlare, Bologna potrebbe distinguersi promuovendosi come città a «emissione zero» limitando drasticamente la circolazione di mezzi privati, investendo in cento, mille, diecimila navette (riducendo anche la dimensione di quei grandi autobus ora sulla strada), con, naturalmente, l’impegno di Tper. Un grande investimento per un risultato immediato. Che, certo, dovrà ripensare viabilità, uso dei servizi e degli esercizi pubblici, mettendo tutti d’accordo, superando la logica del NIMBY («va bene, sì, ma non nel mio cortile, prego»).

Come anche richiedendo che, invece di distribuire lauti dividendi, anche Hera facesse la sua parte. Investendo nella rete idrica dell’area metropolitana, che fa letteralmente acqua (i comuni della montagna ne sanno qualcosa, con le autobotti che girano d’estate per rifornire località che rimangono periodicamente a secco).

Guardare a sinistra e ai moderati vorrà dire continuare nella gestione oculata del bilancio con un occhio alle vocazioni, al futuro, non solo ai «bisogni» immediati. Occuparsi dei giovani lasciati soli, a disagio (che sono tanti, anche tra i figli dei più abbienti, come ci dicono i dati dell’assistenza sanitaria). Dando spazi, occasioni d’incontro e di socialità, non esecrandone la «marginalità». Aiutando quelle situazioni in cui cittadini e comunità si danno da fare, come in piazza Verdi.

Di questo e d’altro dovrebbero discutere i nostri candidati, per farci capire quale futuro prossimo loro hanno in mente per la città.


2 pensieri riguardo “Bologna, le Primarie e il futuro davanti

  1. Condivido la riflessione di Ardeni, sottolineo che a parte l’incongruente mutevole metodologia di adottare le primarie per ragioni contingenti, appare evidente come in questo caso si stiano determinando anomale aggregazioni che poco hanno a che vedere con chiare e convincenti scelte programmatiche, dominano invece gli scoop mediatici

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