Da alcuni giorni gli attivisti del Circolo Pd Pratello di Bologna sono impegnati in uno sciopero della fame a staffetta, per sensibilizzare opinione pubblica e dirigenti di partito sulle tragiche condizioni in cui versano i migranti detenuti nei campi profughi in Turchia e in Libia. Un dramma senza fine, che si consuma nell’indifferenza delle istituzioni nazionali ed europee
di Paolo Rebaudengo, iscritto al circolo Pd Pratello
Dal 12 maggio scorso è in corso la staffetta quotidiana dello sciopero della fame di iscritti e simpatizzanti del Circolo Pd Pratello. Lo sciopero è accompagnato da un appello al segretario nazionale del Pd Enrico Letta, al Presidente del Consiglio Mario Draghi, al Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli e al Commissario europeo Paolo Gentiloni: porre fine al dramma dei dannati della terra fuggiti dall’inferno dei loro Paesi e finiti nell’incubo dei centri di detenzione turchi e libici, finanziati dall’Ue, ossia da noi.
Chiusi nei campi sono resi invisibili, vivono in condizioni disumane; donne, bambine e bambini subiscono violenze, stupri e persino la vendita al mercato nero dei loro organi. Sono sospesi i fondamentali diritti umani, cancellati i duecentotrentadue anni di storia dei diritti, dalla rivoluzione francese alla dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 dell’Onu (all’art.1 le garanzie di libertà, sicurezza, uguaglianza e fratellanza) e alle successive convenzioni internazionali.
I partecipanti all’iniziativa del Circolo chiedono che questo tema diventi una priorità nell’agenda politica italiana ed europea: “quello che accade in quei luoghi non può lasciarci indifferenti. L’uscita della Turchia dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne approvata a Istanbul nel 2011, unita alla minaccia di Polonia e Ungheria di fare altrettanto non va certo nella direzione che i Padri Fondatori della Comunità oggi o Unione Europea, avevano auspicato pensando al sogno europeo e ai rapporti con il resto del mondo.”
Partiti in quindici (di cui dodici donne), ogni giorno qualcuno si aggiunge. Come ha scritto la segretaria del Circolo Meri De Martino “speriamo possa essere un piccolo granello di sabbia capace di accendere una luce; confidiamo che altre realtà, oltre a quelle che da anni sono impegnate in questa giusta causa, o singoli, vogliano rilanciare iniziative sul tema”.
La situazione è andata via via peggiorando, con numeri crescenti di migranti bloccati, dopo viaggi spaventosi, nel loro sogno di raggiungere l’Europa; in Turchia sono quattro milioni; nei centri illegali libici (“veri campi di concentramento” li ha definiti Filippo Grandi, Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite) sono seicentomila.
A differenza di quasi tutti i campi rifugiati del mondo, quelli turchi non vengono gestiti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ma da un’agenzia governativa. Le Ong, con rare eccezioni, non possono operare sul suolo turco. E l’UNHCR può svolgere le sue attività di monitoraggio e offrire assistenza tecnica solo se richiesto dalla stessa Agenzia governativa. La responsabilità finanziaria e amministrativa della gestione dei campi ricade esclusivamente sul governo turco, in modo che quest’ultimo abbia il controllo totale e nessun soggetto esterno possa mettere in discussione la sua gestione.
Col crescere degli arrivi, la situazione peggiora costantemente. I campi, già affollati, si riempiono ancor di più, molti rifugiati vivono per strada. Dentro e fuori dei campi spesso manca l’acqua potabile, il cibo, le medicine e le cure, il riscaldamento. Le condizioni igieniche e sanitarie sono subumane, in alcuni campi i gabinetti sono lontani anche mezzo chilometro.
Nei campi turchi i minori, spesso soli, costituiscono il 50% della popolazione. Sovente le bambine sui 12-15 anni vengono costrette dalla famiglia a sposarsi solo per “proteggerle” dalle violenze degli altri adulti, a volte dallo stesso personale addetto al campo.
“Già abbiamo in abbondanza prove di tutto il bene che siamo capaci di compiere, però, al tempo stesso, dobbiamo riconoscere la capacità di distruzione che c’è in noi.” Così scrive Papa Francesco nella sua lettera-enciclica Fratelli tutti. E ancora: “Essere il padrone del mondo o l’ultimo miserabile sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali”.
Ognuno di noi, recita l’appello del Circolo Pratello, si sente responsabile di ciò che pur indirettamente è provocato dall’Italia e dall’Ue, che preferiscono elargire miliardi di euro ad autocrati come Erdogan affinché trattengano, non importa se in condizioni disumane, uomini e donne già umiliati da viaggi disperati, anziché utilizzare quelle risorse (sei miliardi di euro alla sola Turchia e nel solo periodo 2016-2019) per accoglierli o per offrir loro, ove possibile, un destino realisticamente migliore nei loro Paesi.