A studenti e personale scolastico si chiede sempre di più, ma serve un ripensamento generale del sistema. Sarebbe utile cambiare questo schema vecchio dando spazi e modi alle scuole per pensare alla propria azione educativa in corso d’opera
di Cristian Tracà, docente
A Bologna, come in tutta la regione, si tornerà sui banchi il 13 settembre. Cade quel tabù che vietava di partire prima del 15. La misura, che spesso aveva fatto parlare di Giunta troppo soggiogata ai ritmi dei bagni e degli hotel della Riviera, viene mandata in soffitta dall’emergenza di cui si parla sempre più dopo la didattica a distanza. Si anticipa, anche se solo di due giorni, partendo dal lunedì.
L’anno scolastico inizierà e finirà prima: col 2 giugno di mezzo praticamente sarà un folle volo fino a maggio. Decisione che fa storcere il naso parecchio, ancora una volta un’occasione persa per ragionare veramente sulla scuola come luogo di formazione e di apprendimento, più che come contenitore sociale che subisce la pressione di calcoli incrociati di dinamiche altre.
I Dirigenti scolastici già tremano, alle prese con edilizia scolastica sempre più difficile da gestire, organici incompleti e incerti, richieste di ingresso e di uscita in standby per le caselle che non si riescono a chiudere. I concorsi procedono ma sembrano garantire poche immissioni: le Scuole più periferiche, dove il precariato influisce di più in termini percentuali, sanno già che per le prime settimane sarà impossibile garantire una offerta formativa piena e stabile.
Succede ormai da tempo. Visto che il numero dei giorni rimane fisso, significa contrarre ancora di più I giorni effettivi. L’anticipo, come presto dimostrato, diventa un annuncio e poco altro. La scuola è spremuta perché caricata ogni anno sempre di più di funzioni, obblighi e responsabilità senza che scatti una vera riconsiderazione dei ritmi di lavoro e di apprendimento. E’facilmente dimostrabile la correlazione tra concentrazione del tempo scuola e il peggioramento dei percorsi di studio.
Quest’anno abbiamo assistito a un fenomeno preoccupante. Dopo mesi di incertezze e cambiamenti organizzativi continui, il Ministero ha ritenuto utile (con una logica poco comprensibile) anticipare gli scrutini e l’inizio degli Esami di Stato, con conseguenze assai deleterie per tutti.
Gli studenti, disorientati da una scuola spezzata, si sono visti ad un certo punto frullati in un tritacarne impazzito che concentrava in tempi assai stretti la verifica di percorsi lunghi e articolati. I maturandi a maggio hanno dovuto sostenere nei giorni di presenza tutte le verifiche finali di rito insieme alla progettazione e alla produzione di un elaborato conclusivo del percorso di studi, per poi affrontare il colloquio a pochi giorni dalla chiusura dell’anno. Una volata completamente slegata dal sano diritto ad avere tempi di confronto, assimilazione, recupero e potenziamento.
Non se la sono passata meglio docenti e Dirigenti costretti a preparare tutta la documentazione in tempi strettissimi, con calendari di scrutini forsennati, utili a liberare le scuole appena in tempo per partire con gli Esami. Molte scuole secondarie ormai superano le 50 classi con batterie di scrutini intensive che poco si concilia con l’idea di valutazione stessa.
A chi giova questo correre forsennato? Qualcuno avanza l’ipotesi del risparmio sui contratti dei docenti a tempo determinato. Qualcun altro si gioca la carta del prolungamento dei tempi utili al turismo e alla villeggiatura per le famiglie (o in alternativa dei campi scuola). Ci siamo inchinati al mercato e ai conti ancora una volta?
Quasi inesistente il dibattito culturale e politico su questa decisione di spremere ancora di più I tempi. Sono state più le famiglie che gli osservatori a non essere soddisfatte da questo anticipo che non migliora in nessun aspetto vero la vita a scuola dei ragazzi.
Le domande più importanti rimangono inevase. Si parla tanto di dispersione e di soggetti fragili: qualcuno si è mai messo nei panni di uno studente che accumula lacune e debiti nei primi mesi di scuola e che dopo le vacanze di Natale deve recuperare I primi mesi e reggere il carico di studi del secondo quadrimestre? Quanto sarebbe importante una pausa didattica per delle azioni di recupero vero tra I due quadrimestri?
Nessuno si è mai forse messo più di tanto nei panni di chi la didattica la deve programmare e svolgere, travolto dai nove mesi di martellamento continuo che lasciano pochissimo spazio al ripensamento e alla programmazione in itinere. Sarebbe utile cambiare questo schema vecchio dando spazi e modi alle scuole per pensare alla propria azione educativa in corso d’opera.
I nativi digitali immersi nel flusso dell’eterno presente che tutto consuma velocemente possono ancora studiare in maniera significativa staccando la spina per tre mesi interi? Sembra impossibile che si possa ancora reggere a lungo una scansione così antica e concentrata e una visione della professione docente che non tiene conto delle funzioni territoriali e sociali che alla scuola man mano sono state aggiunte.