Res Novalis

Che le variegate esperienze progressiste, da Coalizione civica in giù, riescano a ritrovare un sentiero e un sentire comuni dovrebbe essere interesse di tutti. Compreso chi con la sinistra ha giustamente poco a che fare. Per ora si parla solo di una lista. In futuro chissà

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB


Insieme al coevo Génie du Christianisme di René de Chateaubriand, il saggio La Cristianità o Europa di Novalis (1799) rappresenta probabilmente il punto letterario più alto della critica al razionalismo illuminista e rivoluzionario, nonché una sorta di manifesto di quel grande movimento antimodernista – e per molti versi conservatore – che nei manuali passa sotto il nome di Romanticismo.

Sarà stata la nota avversione dell’autore per Napoleone, o forse la sua enciclopedica conoscenza delle vicissitudini ecclesiastiche bolognesi e non solo, sta di fatto che quando ho letto l’ultimo intervento di Angelo Rambaldi non ho potuto fare a meno di ripensare a quelle pietre miliari della letteratura europea, i cui concetti di base sono per certi versi ancora attuali e dirimenti, tanto nella società quanto nella cultura continentali.

So già che i “compagni” letterati arricceranno il naso. Me ne farò una ragione. Ma che cos’è in effetti la Carta dei valori europei firmata dai sovranisti se non una ripresa, raffazzonata e sempliciona quanto si vuole, di termini cari al Romanticismo – e storicamente tossici per l’Europa – quali “tradizione”, “popolo” o “nazione”? 

Temi dibattuti anche a sinistra, e non da oggi, sia in ambito accademico sia politico.  Sfortunatamente, senza arrivare mai a una risposta univoca, tantomeno programmatica, come recentemente ricordato anche da Roberta De Monticelli e Emanuele Felice in un botta e risposta sulle colonne di Domani. Forse bisognerebbe chiedersi con più convinzione il perché.

Chi certamente per lavoro e per passione si è occupato di sinistra e valori europei è Massimo Cacciari. Di cui consiglio, tra le tante, una mirabile lectio magistralis a tema tenuta un paio di anni fa all’Università di Pavia: forse lì sta la soluzione del problema. Ma al filosofo veneziano si deve anche un’altra intuizione che condivido, ossia che in un paese – quale l’Italia – dove tutto è conservazione, anche la sinistra (politica, accademica e sindacale) è diventata più o meno consapevolmente conservatrice. E in effetti, almeno a giudicare dalle recenti prese di posizione su riforme costituzionali e lavoro, il dubbio che questo assunto abbia più di un fondamento di verità viene forte. 

Dunque, almeno sul piano dell’adesione critica alla modernità e al cambiamento, qualcosa in comune Rambaldi e la sinistra ce l’hanno. Ma al netto di alcune contraddizioni, e al contrario suo, non vedo come un tentativo di riunificazione a sinistra del Pd possa considerarsi in alcun modo una cattiva notizia, sia sul piano politico sia culturale. 

Non vorrei infatti essere nei panni di chi, scorrendo il lungo elenco di forze che sostengono Matteo Lepore, dovrà trovare il modo di risolvere il rebus delle candidature in una coalizione così variegata. Perché la proliferazione di liste a sostegno di un candidato – anche per chi è avvezzo alla frammentazione endemica della sinistra – è ormai una stanca tradizione e, diciamolo, una vergogna democratica. Porvi rimedio cercando un comun denominatore dovrebbe essere, parafrasando un grande illuminista, un imperativo categorico.

Sul piano culturale, invece, di una visione critica della modernità proveniente da sinistra e diametralmente alternativa a quella sovranista ci sarebbe bisogno come del pane. Peccato che dal ’96, quando alle politiche Rifondazione Comunista superò l’8%, la lunga transumanza di quel piccolo mondo antico nel nuovo secolo si sia arenata tra papi stranieri e Valerie Marini, lasciando alla sinistra “riformista” l’ingrato compito di rappresentare, contemporaneamente, gli entusiasti e i critici della globalizzazione e dell’integrazione europea, le istanze più moderate e quelle più radicali della sua porzione di campo. Un compito chiaramente impossibile, un fallimento annunciato. Che infatti è avvenuto.

A vent’anni dal G8 di Genova, cosa sia rimasto di quel mondo è sotto gli occhi di tutti: rivoluzione non fa più rima con sinistra e la “teoria delle zanzare” di Guzzanti si è fatta lentamente realtà. A meno di non considerare i Cinque stelle come l’ennesima «costola della sinistra». Cosa su cui mi pare non ci sia ancora unanime consenso…

Che le liste progressiste, da Coalizione civica in giù, riescano a ritrovare un sentiero e un sentire comuni dovrebbe quindi essere interesse di tutti. Compreso chi, come Rambaldi, con la sinistra ha giustamente poco a che fare. Servirebbe a fare chiarezza ideale, a definire identità e perimetro della coalizione. 

Certo, per ora è solo una lista. Ma in futuro chissà. Riavere dopo tanti anni un partito unico di sinistra, che stimoli il Pd e contesti la destra in Italia e a Bologna, sarebbe davvero una bella rivoluzione.

In copertina: Genova, Corso Italia, manifestazione del 21 luglio 2001. Photo credits: Michele Ferraris (CC BY-SA 4.0)


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