Case popolari tra vecchie e nuove fragilità sociali

Che fare di fronte al cambiamento socio-demografico? Serve una alleanza pubblico-privato sociale per costruire insieme policy gestionali a valenza sociale

di Alessandro Alberani, Presidente di Acer Bologna


Il cambiamento socio-demografico all’interno delle case popolari richiede policy gestionali ad hoc di tipo sociale, che dovranno sempre più fondarsi su una alleanza tra istituzioni e privato sociale. In questi ultimi è diventato usuale parlare di welfare plurale e comunitario ma servono strategie concrete di collaborazione intersettoriale in grado di intercettare la dimensione dell’abitare.

L’edilizia residenziale pubblica a Bologna rappresenta non solo un patrimonio immobiliare da manutenere e valorizzare dal punto di vista strutturale, ma anche una “città nella città” dove vivono persone in carne ed ossa che hanno bisogni molteplici e diversificati. Gli inquilini storici delle case popolari sono in buona parte anziani, vivono in nuclei familiari di piccole dimensioni, in molti casi la solitudine diventa il problema. 

Ci sono oltre un migliaio di ultraottantenni che vivono soli, senza assistenza almeno formalmente dichiarata. Durante il primo lockdown Acer ha attivato un progetto di solidarietà sociale per intercettare i bisogni primari di questa fascia di inquilini fragili. Abbiamo chiamato questo progetto Acer ti chiama, scoprendo il “valore” dell’ascolto anche “a distanza”. Nei mesi successivi abbiamo scoperto che questo dovrebbe essere l’approccio di una istituzione pubblica: capovolgere la prospettiva, uscire dai confini ristretti, anche del proprio ambito di competenza per ascoltare la voce degli abitanti. Abbiamo scoperto una nuova modalità di gestire immobili, dove la componente relazionale è destinata a diventare sempre più centrale. 

Non è sufficiente dare un alloggio ai più poveri – azione fondamentale che dobbiamo continuare a svolgere trovando risorse sia a livello locale che nazionale – ma è sempre più necessario costruire insieme le condizioni per una migliore qualità dell’abitare nell’edilizia pubblica. Non sono qui a proporre facili ricette ma a lanciare un appello perché l’edilizia residenziale pubblica diventi terreno di innovazione sociale a regìa pubblica. 

Non partiamo da zero. In questi anni in collaborazione con i Comuni, i Quartieri, soggetti del terzo settore e del volontariato abbiamo costruito una ricca progettualità che ha raggiunto e soddisfatto bisogni e aspettative degli abitanti delle case popolari, in particolare i più fragili.

Una fragilità che è duplice. Nelle case popolari dell’intera Città Metropolitana vive una componente numerosa di ultrasessantacinquenni, oltre il 41% sul totale. È facile comprendere che questa popolazione manifesta dei bisogni che vanno oltre la semplice dimensione abitativa ma che con questa si intrecciano. Sono essenzialmente bisogni connessi alla salute e alla relazione sociale. Per affrontarli in maniera sistemica e non estemporanea abbiamo la necessità di costruire un’alleanza operativa con la cittadinanza societaria e i servizi socio-sanitari attingendo all’esperienza micro-progettuale di tipo sociale sperimentata in questi anni nelle case popolari. 

Gli strumenti sono pronti e già collaudati: mix sociale, mediazione abitativa, accompagnamento all’abitare, educazione alle regole per il rispetto del bene pubblico, patti di collaborazione e cittadinanza attiva. Dobbiamo affinare e rendere strutturali questi strumenti anche per accogliere dignitosamente le nuove famiglie che accedono all’edilizia residenziale pubblica, il cui ritratto non coincide con l’abitante “storico”.

Analizzando le graduatorie degli ultimi cinque anni scopriamo che gli ultimi arrivati nell’edilizia residenziale pubblica sono persone che vivono in nuclei più numerosi e giovani, con redditi molto bassi e che hanno altri bisogni rispetto alla popolazione anziana. Il cambiamento demografico è complesso e richiede una progettualità altrettanto complessa in grado di rispondere ad una fragilità sociale multiforme.

Sono convinto che a Bologna sapremo raccogliere questa sfida proponendo anche al di fuori dei nostri confini comunali e regionali un modello di welfare community che metta al centro l’abitante delle case popolari. Sarei grato al Cantiere se ci aiutasse ad aprire un dibattito cittadino sui temi che qui ho brevemente tratteggiato.

Photo credits: Acer Bologna


Un pensiero riguardo “Case popolari tra vecchie e nuove fragilità sociali

  1. Ora abbiamo dei ghetti.
    Gli appartamenti “popolari” devono essere mischiati agli altri. Leggevo di una bella esperienza a Vienna, dopo in edifici nuovi o da ristrutturare una quota DEVE essere lasciata per assegnazione “popolare”. L’Austria non ha il comunismo alla cinese, quindi qualcosa potremmo fare anche noi. Gli alloggi vanno distribuiti altrimenti si creano i ghetti. Poi andrebbero manutenuti, l’area di via Abba è veramente desolante.

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