Bologna, Leporello e il «catalogo»

Come il personaggio dell’opera mozartiana, anche il “nostro” non può che mostrare l’elenco delle opere del sistema che lo ha espresso, di cui rappresenta la continuità. Purché non si cambi nulla, dal «Passante» al consumo di suolo, dal turismo «mordi e fuggi» agli studenti «pur che paghino», alla cultura che non vive di vita propria, in una Bologna che, come il resto d’Italia, vive tra le braccia di una sinistra che non riesce a svegliarsi dal sonno liberista

di Pier Giorgio Ardeni, economista dello sviluppo


Forse avrà ragione Aldo Bacchiocchi ( Matteo Lepore e Fabio Battistini: prima le persone, poi i partiti ), che oggi sono più le persone a contare dei partiti. Eppure, più ci avviciniamo al giorno in cui saremo chiamati alle urne per scegliere il sindaco, più ci rendiamo conto che dovremo votare per una «coalizione», più che per una persona.

Una coalizione di liste, è vero, non di partiti, se escludiamo quella del Pd, sfrangiatasi per strada, e quella di un non-partito come i 5 Stelle. Ma votare per una coalizione di liste, definite da vaghe o dichiarate appartenenze politiche, vuol dire scegliere una o più idee, apprezzarne programmi e piattaforme.

Eppure, a meno di quattro settimane dal voto, di quei programmi, di quelle piattaforme, se ne vede appena una traccia (la «Fabbrica del programma» di Lepore; per il resto non c’è nulla, ancora). Tutti dietro al candidato emerso dalla tenzone delle Primarie con squilli di tromba e qualche screzio preliminare e postumo. Che, con la competizione vinta su Isabella Conti, pare aver messo al sicuro il risultato e navigare verso il trionfo.

A conti fatti, tanto il Pd, quanto il «sistema» che rappresenta – nel senso letterale, che ne è espressione – a Bologna hanno astutamente messo a tacere ogni possibile competizione «in casa» per poter affrontare da favoriti il confronto con il fronte avversario.

Quelli che potevano essere i competitor – tanto di Matteo Lepore quanto del Pd – si sono fatti ingabbiare, perdendo molte possibilità di negoziare migliori condizioni al secondo turno. E quella negoziazione, ora, sarà sulle «poltrone» ovvero sulle persone, meno trasparente e per nulla sui contenuti, come avrebbe potuto essere se sia la Conti che Coalizione civica e coraggiosa (e anche ciò che resta dei 5 Stelle) si fossero giocati un primo turno per conquistare posizioni, possibilmente su punti differenti.

Quanto poi alla prevalenza delle persone sui partiti, le consultazioni elettorali degli ultimi 25 anni (quelle a elezione diretta del sindaco) mostrano che i candidati emersi hanno via via raccolto meno suffragi e che, allo stesso tempo, sia stato il venir meno del sostegno del Partito, dei suoi iscritti prima ancora che dei suoi elettori, a fare la differenza.

Dai 145.664 voti con cui nel 1995 vinse Walter Vitali, candidato proveniente «dal partito», sindaco uscente, si scende ai 140.795 di Sergio Cofferati, super-candidato «di partito» chiamato da Roma alla riconquista di Palazzo d’Accursio nel 2004, ai 112.127 voti presi dal candidato «esterno» e vincitore delle Primarie Flavio Delbono al primo turno (per vincere poi al secondo) nel 2009, ai 110.389 voti con cui Silvia Bartolini, con una storia tutta «dentro al partito», perse al secondo turno nel 1999 (contro i 117.367 ricevuti al primo e contro i 113.343 di Guazzaloca al secondo turno), fino ai 106.070 voti con cui Virginio Merola, anch’egli cresciuto nel partito ma emerso dalle Primarie, vinse nel 2011, e ai 68.749 voti che prese lo stesso Merola al primo turno nel 2016 (mentre 43mila voti circa andarono a varie liste a sinistra e 5 Stelle).

Se è chiara la tendenza – la progressiva perdita d’influenza del «partitone» – non si può così dire che abbiano prevalso «le persone» (se non nel caso di Cofferati «salvatore della patria»). È vero che lo «status» lo fa l’esperienza, spesso, se le persone si dimostrano all’altezza. La tendenza del voto di cui sopra, però, mostra che la sinistra a Bologna non è stata capace di esprimere una classe dirigente – le persone – che non fosse appena competente. Come illustra la parabola del sindaco uscente, confermata non solo dai consensi da questi ricevuti, ma dal suo «bilancio di fine mandato» (rileggete il suo discorso di commiato, per averne un’idea).

Ciò che appare è piuttosto l’immagine di una città conservatrice, che preferisce non cambiare, affidandosi a una «ditta» consolidata che vuole convivere con i centri d’influenza cittadini – dalle Fondazioni all’Ateneo, dalla Curia alle Cooperative, dagli industriali importanti alle poche ed esili istituzioni culturali indipendenti – purché si mantenga l’equilibrio nella gestione del potere e del consenso del grosso dei ceti medi.

Come il Leporello dell’opera mozartiana, anche il nostro Leporello non può che mostrare il «catalogo» delle opere del sistema che lo ha espresso, di cui rappresenta la continuità. Purché non si cambi nulla, dal «Passante» al consumo di suolo, dal turismo «mordi e fuggi» agli studenti «pur che paghino», alla cultura che non vive di vita propria, in una Bologna che, come il resto d’Italia, vive tra le braccia di una sinistra che non riesce a svegliarsi dal sonno liberista, mentre la destra sovranista le morde i fianchi, illudendosi di sopravviverle.


2 pensieri riguardo “Bologna, Leporello e il «catalogo»

  1. Pier Giorgio Ardeni è sempre acuto. Mi permetto di dialogare ponendo sul campo due considerazioni. Enrico Letta terminò la sua relazione di insediamento alla guida del Pd strangolato dalle ‘correnti’ con una stimolante citazione di Sartre: noi siamo quello che appariamo fuori di noi.

    L’ammonimento del filosofo esistenzialista non ebbe eco di stampa; forse nessuno se la ricorda più. Ma cade a proposito per il Pd bolognese. Certo la gente, si pontifica con assoluta certezza, non si interessa delle beghe interne del Pd. Io credo, modestamente, che i mesi trascorsi e questo settembre dolce per la stagione ma aspro per il Pd non siano invece da sottovalutare.

    Acrimonia, rimpianti, durezze non sopite sono ancora sale che viene sparso sulle ferite non rimarginate. Con tanti equivoci che non ritengo opportuno rendere espliciti. E in generale ‘la politica’ non gode di buona salute e le coalizioni sono difficili da decifrare.

    È di ieri la scelta perentoria di Mario Draghi per colmare le incertezze dei partiti e della politica. Simbolo fortissimo a proposito del suo intervento per afferrare il bandolo della matassa delle ‘stragi’. Tema caldissimo per Bologna e non solo. È questo conteso che lede il peso delle coalizioni, peraltro molto confuse in specie a sinistra.

    ’Leporello’ ha i suoi fedeli. Altrettanto dicasi per Battistini che cerca di delinearsi come aspettativa di timido cambiamento.

    ’del doman non v’è certezza’. Sarà vero?

  2. Grazie per due interventi chiari e utili. Grande la genericità delle proposte e greve la zavorra di decisioni temo irrevocabili (passante, consumo del suolo, profilo turistico). Assenti una vera determinazione per la transizione ecologica (chi non nutre terrore elettorale per il realistico “lacrime e sangue” del Ministro Cingolani?), limitata a ricchi investimenti nel settore trasportistico (con la foglia di fico dei miglioramenti del passante, boccone amaro per la pur Coraggiosa Coalizione Civica). Assente l’indispensabile revisione dell’intera rete amministrativa (Città Metropolitana, Comune, Quartieri) e dei suoi rapporti con Regione, Università, imprese e con l’incredibile realtà associazionistica (patrimonio bolognese quanto i portici). Assente un accenno all’indispensabile coordinamento dentro la città metropolitana (che stanno facendo le altre 14?). Sorvolate le Sanità e Formazione per la scarsa incisività politica dei Comuni in queste delicate e importantissime aree della vita civile

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