«La verità sulla banda della Uno bianca è scolpita in sentenza»

Il Pm che ottenne la condanna dei criminali: «Presentando la digitalizzazione alla stampa qualcuno ha parlato di giornata storica. Io ritengo che storico sia stato il giorno in cui la Corte di Assise, accogliendo la mia ricostruzione dei fatti, riscrisse anni e anni di storia criminale di questa città. Digitalizzare gli atti servirà a non dimenticare. Chi avrà modo di analizzarli sarà però in grado di distinguere ciò che si poteva dimostrare processualmente dalle illazioni e dai teoremi»

di Valter Giovannini, ex procuratore aggiunto della Repubblica


Rimarrà per sempre nel destino di Bologna essere ricordata per due vicende di sangue di straordinaria gravità: la strage della stazione del 2 agosto 1980 e la lunga scia di sangue prodotta dalla banda della Uno bianca. Nel primo caso, in un lampo di ferocia, furono spazzate via le vite di decine di persone. Nel secondo, lo stillicidio di sangue è durato quasi sette anni, dall’87 al ‘94. Identico però il dolore, lo sbigottimento, la rabbia dei familiari delle vittime. Di tutti noi. 

Ho ritenuto necessaria questa premessa perché, in occasione dell’annuncio alla stampa della digitalizzazione degli atti relativi alla Uno bianca, è stata evocata l’analoga attività informatica già svolta con gli atti della strage del 2 agosto, che avrebbe (il processo penale è in corso) consentito di individuarne mandanti e finanziatori. Per una sorta di proprietà transitiva digital-processuale quindi, cercando bene tra le carte, sarà forse possibile – è il messaggio – ottenere lo stesso risultato nella vicenda Uno bianca per quel che riguarda i mandanti o gli ispiratori dei suoi crimini.

Siamo tutti pervasi da una legittima ansia di verità. Ascoltando alcuni interventi ho avuto però l’impressione che non si sia tenuto conto di quanto è emerso dalle indagini e dai vari processi. Nel quali sono stati ricostruiti i fatti criminali e i loro antefatti, sono stati scandagliati possibili collegamenti con ambienti della criminalità organizzata o con contesti istituzionali. Nulla, in tali direzioni, è emerso. Bisogna dirlo.

Va detto perché temo che si possa correre il rischio di creare l’idea di un rapporto diretto tra l’ormai acclarata frammentazione delle indagini, svolte negli anni antecedenti alla scoperta dei membri della banda, e la conseguenza che, essendo accaduto questo in quegli anni, almeno i principali protagonisti del consorzio criminale abbiano goduto di protezioni o addirittura abbiano agito su disposizioni loro impartite da mandanti rimasti ignoti.

Quando iniziai a occuparmi delle indagini per i crimini bolognesi commessi da quella banda, confrontandomi con l’enormità dei fatti commessi e l’apparente inspiegabilità di alcuni omicidi, mi imposi di indagare in tutte le direzioni. A tutti i livelli. E cosi feci. Approfondii ogni pertugio investigativo, setacciai «senza guardare in faccia nessuno» ogni possibile traccia, anche la più fantasiosa, che potesse condurre a un livello superiore. Nulla emerse.

Si continua però a obiettare: i rapinatori hanno come scopo quello di impossessarsi del denaro mentre nella storia della banda vi sono azioni di sangue non sorrette da fini di lucro. Roberto Savi confessò che si trattava di depistaggi, fatti ad arte per confondere le acque. Può soddisfare o meno una simile spiegazione. Ma nessuna sentenza è riuscita a fornirne un’altra in grado di smentirla.

Non va poi sottaciuta un’altra spiegazione. Nella mente degli uomini il potere a volte conta più del denaro. Esiste forse un potere più grande di quello di decidere la vita o la morte di altri esseri umani? Roberto e Fabio Savi si sono trovati non di rado in questa situazione. Il primo, il “corto”, quando comprese che le indagini stavano ormai volgendo al termine, mi chiese di essere sentito. Riferì un fatto che, se comprovato, avrebbe davvero aperto scenari inquietanti. Indicò una strada dove una sera sarebbe avvenuto un gran trambusto tra lui, il fratello Fabio, e alcuni uomini delle istituzioni che li avrebbero fermati, dicendo loro che sapevano chi erano e cosa facevano e che da quel momento avrebbero dovuto agire in base a disposizioni da loro impartite. Basterà rileggere gli atti per capire come nulla emerse dalle dichiarazioni dei potenziali testimoni indicati da Savi. Lui stesso fu costretto a non perseguire più quella strada.

Presentando la digitalizzazione alla stampa qualcuno ha parlato di «giornata storica per la vicenda della Uno bianca». Dal mio punto di vista è stata una giornata importante. Ritengo però che “storico” sia stato il giorno in cui la Corte di Assise di Bologna, accogliendo la ricostruzione dei fatti sulla base delle indagini da me condotte, riscrisse anni e anni di storia criminale di questa città.

Digitalizzare gli atti ha certamente il grande merito di fissare, su supporti non deteriorabili, documenti che ormai hanno una valenza storica. Servirà a non dimenticare. Chi avrà modo di analizzarli, sono certo, sarà però in grado di distinguere ciò che si poteva dimostrare processualmente dalle congetture, dalle illazioni o dai teoremi.

A chi si cimenterà nel compito auguro una serena lettura e una buona caccia nel cercare altre possibili verità.


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