Da due anni a questa parte, in nome del primum vivere, ne stiamo prendendo parecchie. Soprattutto in termini di funzionamento della vita democratica. Forse, prima di proseguire, sarebbe meglio fermarsi un istante in più a riflettere su quale politica vogliamo
di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB
Rileggendo l’ultima segnalazione dell’amico Rambaldi (“A Bologna Tocqueville non è di casa”) non posso fare a meno di condividere le sue preoccupazioni e, se possibile, tentare di ampliare la discussione.
In effetti, soprattutto per chi fa il nostro mestiere, si ha ormai troppo spesso la sensazione che, in quanto alla gestione della cosa pubblica, non ci sia praticamente niente da raccontare, nulla di cui dibattere. Il più delle volte, si può solo prendere atto di quanto accade. Una democrazia col pilota automatico, come se questa fosse possibile e soprattutto accettabile.
Così come non penso sia accettabile il sostanziale silenzio sotto cui è passata, non molto tempo fa, la denuncia di Carlo Galli in merito alla nostra resa culturale al berlusconismo, con i suoi frutti avvelenati. Dopo trent’anni di lotta senza quartiere, chiuderla facendo spallucce mi pare francamente un’operazione poco nobile, indegna della passione civile diffusa di cui ancora si giova questa città.
Vista la disparità di competenze tecniche con l’autore di quell’analisi, mi rendo conto che tentare di aggiungervi qualcosa possa sembrare un atto di lesa maestà. A maggior ragione in un’epoca come questa, in cui la tecnica ha stritolato nel suo abbraccio asettico persino l’opinione. Ma se mi posso concedere una battuta, da giullare quale sono, vorrei dire che dove lui vede “liquido” io trovo solo calcare, di quello che resta quando il liquido è già evaporato tutto. E dalle amministrative al congresso Pd, l’astensionismo in ascesa mi sembra il segno più lampante di questa crudele siccità.
Non penso si possa ascrivere la colpa di questa deriva a chi ci governa. D’altronde, sarebbe ben strano un re che si preoccupi se ha sudditi troppo ubbidienti e cortigiani che cospirano poco. Credo invece che sarebbe molto più salutare, tanto per noi quanto per il dibattito pubblico, se ci interrogassimo innanzitutto su quale politica vogliamo. Perché se da un lato mi piacerebbe accettare – come sembrano fare i più – che possa esistere una politica del “chi” e del “cosa” senza che le si accompagni, inevitabilmente, anche una politica del “come” e soprattutto del “perché”, dall’altro non voglio proprio rassegnarmi all’idea che il bene comune sia materia per pochi intimi, né tantomeno sacrificare il principio di intelligenza collettiva a quello di un potere decisionista e accentratore, per quanto indubbiamente efficace.
Per cominciare, forse, basterebbe chiedersi se sia normale, nella città più progressista e di sinistra del Multiverso, che un sindaco eletto insieme a una coalizione vasta come quella di governo assuma su di sé, tra Comune e Città Metropolitana, una quantità oggettivamente spropositata di deleghe, tra cui alcune anche molto pesanti come Cultura e Sanità. La risposta corale, un tempo, sarebbe stata no. Ma oggi? È ancora così?
Come dimostrano le maratone consiliari su Bilancio e Passante, la democrazia a volte può essere un esercizio lento e faticoso. Ciononostante, non mi pare una ragione sufficiente per limitarne l’uso. Eppure, in nome di una presunta efficienza, è proprio quello che sta capitando: la condivisione delle scelte lascia il passo alla rapidità d’esecuzione, mentre la nostra immagine della democrazia sta scivolando molto rapidamente verso qualcosa che a pelle non ci piace ma che, a mio modestissimo parere, affrontiamo con un po’ troppa passività.
Forse è vero – come direbbe un popolare armadillo – che tutta ‘sta fretta di far succedere le cose ce l’ha messa il capitalismo. Forse, più semplicemente, è stata la pandemia. Di certo, da due anni a questa parte e in nome del primum vivere, di cattive abitudini, almeno in termini di funzionamento della vita democratica, ne stiamo prendendo parecchie.
Ma l’abitudine, per quanto rassicurante, è soltanto il surrogato della normalità.
Non posso che condividere!! Ed anche con piacere poiché almeno qualcuno Pensa!! Una vera rarità