Il fenomeno dilaga e interessa tutta l’area della Città Metropolitana. Servono azioni coordinate e globali per evitare che diventi una triste consuetudine
di Giovanni De Plato, psichiatra e scrittore
Nella città e nell’area metropolitana di Bologna i comportamenti violenti o distruttivi dei ragazzi con meno o più di quattordici anni continuano. Non è facile da parte delle istituzioni competenti individuare gli opportuni provvedimenti di sicurezza e di prevenzione nei confronti dei violenti. Il fenomeno interessa sia la città sia la provincia, mettendo a dura prova le categorie analitiche di realtà diverse e le capacità di prendere i dovuti rimedi nei confronti di soggetti non omologabili.
A Bologna gli ultimi episodi di violenza da parte dei giovani sono avvenuti ancora di notte e sempre in via Zamboni. Siamo al terzo scontro tra gruppi (bande?) che si sono dileguati all’arrivo delle forze dell’ordine. I tavoli metropolitani tra Prefettura, Questura, Amministrazione comunale, Tribunale dei minori, Magistratura e Forze dell’ordine non sono ancora riusciti a promuovere azioni di prevenzione dell’illegalità minorile e giovanile.
Non meno preoccupante è quello che è avvenuto in provincia. A Pieve di Cento, dove nella chiesa di Santa Maria Maggiore due ragazzi minorenni hanno profanato il tempio, deturpando la statua di un santo, distruggendo in parte gli arredi e strappando e bruciando opuscoli e santini. L’aggravante è che i due avevano già tentato nei giorni precedenti di prendere di mira la stessa chiesa, cosa che ha permesso ai carabinieri del luogo, già sulle loro tracce, di identificare immediatamente gli autori del reato. Il prete della chiesa messa a soqquadro ha ritenuto di non denunciare i fatti e di perdonare i due minori. Questi sono più o meno i dati, ricostruibili attraverso le notizie di stampa.
Si potrebbe dire che il caso di Pieve di Cento è stato risolto nei migliori dei modi, in altre parole con la benevola comprensione e il paternalistico perdono del curato, che ha lasciato alle famiglie il compito di recuperare i loro figli e riparare alla loro ‘bravata’. L’episodio della provincia allarga il tavolo delle istituzioni chiamate ad affrontare il fenomeno e chiama in causa, almeno in questo caso, anche la chiesa e il rapporto del prete con le famiglie. Il quadro di riferimento così si fa più complesso e la chiarezza sui rispettivi ruoli e funzioni meno evidenti.
Va detto che c’è per tutti, istituzioni e persone, un punto centrale che deve orientare l’azione di ogni soggetto chiamato a intervenire. È centrale e imprescindibile che il ragazzo o l’adolescente agente la violenza o l’illegalità deve essere chiamato ad assumersi la responsabilità dell’atto compiuto. Questo vuol dire che se il reo deve essere perseguito e condannato, la pena da espiare deve avvenire non per via repressiva, ma tramite un percorso rieducativo o riabilitativo, come può essere l’obbligo a svolgere attività di servizio sociale, facendosi carico di dare aiuto per un periodo congruo ai ragazzi fragili, malati o disabili.
L’atteggiamento di giustificazione o di banalizzazione dell’illegalità commessa, di fatto, non aiuta i ragazzi a capire la gravità del loro comportamento violento e distruttivo, che è sempre inammissibile e da perseguire. Lo stesso atto di perdono del prete di Pieve di Cento sarebbe dovuto avvenire dopo un effettivo pentimento dei due minori tramite una pratica di riparazione. Nella stessa visione cattolica esonerare il colpevole dal danno subito (perdono) dovrebbe implicare il ‘pentirsi’, il dolersi del reo con il proponimento di non ripetere più atti illegali (pentimento).
La centralità di quest’assunto dovrebbe essere riconosciuta da ognuna delle istituzioni e da ogni soggetto chiamato a partecipare al tavolo sulla sicurezza e prevenzione. Altrimenti assisteremo a ragazzi sbandati, disorientati, confusi che quando non s’isolano socialmente chiudendosi in casa o nella propria stanza, credono di poter trovare un’identità e un ruolo nella trasgressione alle norme vigenti e alle regole del buon vivere.
Caro Gianni,
quello che tu dici é verissimo e l’incazzatura cosmica, per usare il gergo giovanile, che i ragazzi, spesso adolescenti, esprimono è la risultante di più componenti fra cui spicca la diseducazione che ha una origine nella famiglia. Purtroppo gli esempi che questi ragazzi hanno davanti a loro sono spessissimo quanto di più diseducativo ci possa essere, dal disprezzo per le regole di convivenza civile alla giustificazione di comportamenti asociali e individualistici. Ma sono anche le Istituzioni che non danno un buon esempio. Pensiamo alla brutale, inutile violenza che le forze dell’ordine in questi giorni hanno esercitato nei confronti degli studenti che nelle piazze manifestavano contro la mancata sicurezza nei luoghi di lavoro.