C’è una crisi profonda della democrazia rappresentativa anche nelle nostre terre e forse bisogna mettersi l’animo in pace
di Aldo Bacchiocchi, già dirigente politico
Di recente Angelo Rambaldi, con l’arguzia che lo contraddistingue, ha messo in evidenza che Tocqueville non è di casa a Bologna, lamentando un diffuso atteggiamento ‘cortigiano’ verso il primo cittadino. Anche il Pd si muove all’ombra di Palazzo D’Accursio.
Angelo coglie una tendenza diffusa. Desidero però fare una riflessione più generale. Da circa dieci anni ad oggi, sul piano politico si è affermata una nuova leva di politici e di amministratori (donne e uomini). Matteo Lepore, con attenta pazienza, ha tessuto una tela vasta e articolata che esprime, nel Pd e nell’amministrazione, una presenza consistente e non di rado preparata. Con sapienza ‘la mamma di Socrate’ che ha vigilato e gestito questo ‘parto’ è stato l’onorevole Andrea De Maria, con il supporto dell’onorevole Benamati. Due politici sperimentati che hanno gestito e gestiscono questa ‘transizione’. Bisogna prenderne atto. Questa è la realtà della politica nel bolognese. Si avverte, tra i più avvertiti, un certo disagio che però non ha sbocchi alternativi. La ‘separazione dei poteri’ si è sbiadita.
Due le questioni che desidero però sottolineare. La prima: c’è una crisi profonda della democrazia rappresentativa anche nelle nostre terre. Ma il disinteresse è biunivoco. La sfera politica e quella istituzionale sono autoreferenziali, ma sono ossequiate, per forza inerziale. C’è però, da noi, un volontariato diffuso eticamente elevato, che guarda con distacco alla sfera della politica.
Seconda questione: nelle passate elezioni Pier Ferdinando Casini è volutamente scomparso spiazzando il suo fedelissimo ex ministro e i suoi amici centristi che, all’inizio, avevano accennato a svolgere, nella contesa un ruolo ’terzo’. Il perché, ex post, è noto. Una qualche incognita, nel ripensare al passato recente, è perciò legittima. Certo Casini fu rieletto da un Pd a trazione renziana, ma una qualche voglia di ’centro’ era nell’aria. Poi è scomparsa dalla sera alla mattina.
Caro Angelo Rambaldi, che ne pensi di questi miei pensieri? Forse è meglio mettersi l’animo in pace. Nessuno pensa a costruire un’alternativa allo stato di cose esistente.
purtroppo nessuno vuole perdere le posizioni ottenute grazie all’essere signor NI
Mi perdoni Aldo Bacchiocchi, che ringrazio dell’attenzione, ma intervenendo sulla mia presa d’atto che a Bologna la sinistra di governo locale ha dimenticato la lezione di Tocqueville, mi pare prenda un abbaglio ottico. Ovvero confonde i “campi larghi autoreferenziali” alla bolognese con la temperie politica del Paese ma anche della nostra regione.
Premetto, perché è importante, che parlare di necessità di un centro non serve per ipotetiche alleanze con la destra, ma serve perché nel nostro Paese, così come è fatto – e non è fatto a misura delle culture di nicchia in cui il Pd soprattutto a Bologna si è incartato – un centro sinistra vero può battere la destra (cosa che io desidero) solo se si presenta avendo e accettando in sé, insieme ad altre, anche le culture riformiste moderate, laiche ma non laiciste. Altrimenti, il Pd potrà ancora vincere nell’area protetta bolognese – anche grazie a Salvini che, regolarmente, sbaglia candidati – ma non vincerà mai nel Paese.
Bacchiocchi poi elogia la “vasta area articolata” che hanno creato attorno a sé il sindaco e il suo potente alleato De Maria. Più che “area articolata”, come è già accaduto e accade tutt’ora, si tratta di un recinto ideologicamente ben marcato ed escludente per chi si trova a sostenere un riformismo, nei fatti. Quindi non corrisponde al vero che il “centro” si è liquefatto. Anzi è la persistenza dell’assenza dei principi di Tocqueville nella sinistra di governo bolognese che ha rafforzato la proposta riformista.
Come dicevano i latini, in cauda venenum. Dato che ci sono segnalo un altro aspetto, sempre a proposito di Tocqueville e solo come titolo, nella compagine di governo bolognese. Nulla di scandaloso per carità, ma un problema di “inopportunità ” per quello che riguarda il rapporto politica – società civile, che nel giro di nomine recenti vede qualche presenza a parer mio inopportuna per via di diversi conflitti di interesse.