Sarà un documentario per un personaggio quasi dimenticato eppure alla guida negli anni ‘60 del visionario progetto che disegnò la Bologna del 2000. Il futuro sindaco seppe cogliere la sfida che in piena Guerra Fredda don Dossetti aveva lanciato al Pci. Aprì al dialogo col mondo cattolico e lanciò, già nel ‘59 e sotto gli occhi di Togliatti, l’idea della rinuncia a «ogni falsa e illusoria prospettiva rivoluzionaria». Un’eresia. Ma non fu espulso. Innescando così la via emiliana al socialismo
di Paolo Soglia, giornalista
Il documentario che sto preparando assieme al regista Lorenzo K. Stanzani ha un sottotitolo che svela l’arcano: “Il sindaco visionario”. Visionario perché la giunta Fanti negli anni ‘60 aveva uno sguardo già proiettato verso il 2000: è impressionante notare le somiglianze tra la città che vediamo ora, con la sua collina verde preservata dalla speculazione, il centro storico risanato dagli edifici fatiscenti, la Tangenziale che la circonda affiancando l’Autostrada del Sole, le torri di Tange del polo fieristico, e pensare che è stato tutto progettato in quegli anni. Ma non è stato frutto del caso o del momento.
Il film ripercorre a ritroso un percorso di cui sono state perse le tracce. In particolare per quanto riguarda Guido Fanti, personaggio un po’ dimenticato e (incredibilmente) assai poco raccontato anche nella saggistica e nella ricerca specializzata.
In effetti della tanto decantata Emilia Felix degli anni ‘60 e ‘70 spesso ci si accontenta della vulgata: una sorta di germinazione spontanea dovuta al buon governo del Partito Comunista.
Andando a fondo ci si accorge invece che non era affatto un percorso scontato: l’egemonia comunista a Bologna e in Emilia prodotta dalla lotta di Liberazione aveva creato in questo territorio una specie di enclave: una piccola macchia rossa nello sterminato campo occidentale, destinata probabilmente a riassorbirsi con l’acutizzarsi della guerra fredda e lo scontro frontale che si era prodotto nel paese dopo il 1948, con la schiacciante vittoria elettorale della Democrazia Cristiana.
La straordinaria popolarità del sindaco Dozza, stimato anche dagli avversari, aveva permesso al Pci di governare Bologna con un ampio consenso, occupandosi dell’emergenza primaria: la ricostruzione dopo le devastazioni della guerra. Ma già dalla metà degli anni ‘50 il Pci era a un bivio: il mito dell’Urss e della rivoluzione proletaria non poteva trascinare all’infinito un consenso che andava costruito giorno per giorno, misurandosi con problemi sempre nuovi e diversi, facendo i conti con la crescita economica e la gestione delle risorse.
Ed è proprio su questi aspetti che Giuseppe Dossetti spinto dal Cardinal Lercaro sfida alle Comunali Giuseppe Dozza nel 1956, in piena guerra fredda. Lercaro vuole sottrarre il comune di Bologna alla sinistra: «La caduta di questa roccaforte – afferma il Cardinale – sarebbe per il Soviet italiano un colpo mortale».
Dossetti però spiazza tutti, anche il Lercaro, abbandonando i toni da guerra fredda e si gioca la partita sulla concretezza amministrativa, realizzando un “Libro Bianco” che contiene interessantissimi spunti di innovazione, in particolare sul tema fondante della partecipazione dal basso. Dossetti perde le elezioni ma sottopone il Pci a una vera e propria critica politica sui contenuti.
Ed è proprio Guido Fanti a capire la portata di questa innovazione e a cogliere la sfida. Fanti intuisce che se il Partito Comunista vuole mantenere un’egemonia politica durevole non basta aggrapparsi all’ideologia: deve immaginare uno sviluppo possibile, quella che verrà poi definita la “via emiliana al socialismo”, e deve soprattutto confrontarsi con tutte le componenti della società, includere i ceti medi, e aprire un dialogo con quella parte del mondo cattolico più aperto e disponibile a collaborare coi comunisti in nome del bene collettivo.
Il 26 giugno 1959 inizia così nel salone del Podestà la conferenza regionale che segnerà la svolta del Partito Comunista emiliano. Sotto l’ala protettrice di Giorgio Amendola e lo sguardo attento di Palmiro Togliatti, Guido Fanti – capo dei “rinnovatori” – sfida la vecchia guardia nella relazione introduttiva con una clamorosa dichiarazione: «Non vi è rinnovamento e rafforzamento possibile del Partito, se non nella definitiva rinuncia a ogni falsa, illusoria, prospettiva rivoluzionaria nell’attesa di una fatidica ‘ora X’».
Sono parole pesantissime per un comunista di quei tempi, eretiche, che in un altro contesto costerebbero certamente la sospensione o l’espulsione dal Partito. Tuttavia, la dirigenza nazionale fa finta di niente: Fanti dopo una conta all’ultimo voto verrà eletto segretario della Federazione: nasce così il laboratorio bolognese. Noi partiamo dunque da questo atto fondante. Sono le fondamenta del “prima” su cui si regge tutto il “dopo”: l’Emilia rossa e il suo complicato rapporto dentro il Pci, il suo mito che si costruisce nel mondo.
Ecco perché oggi, per capire cosa e chi siamo, è importante un film su Guido Fanti.
Una bellissima idea; Fanti lo merita, fu un comunista italiano, forse questo aggettivo andrebbe indagato come non è stato fatto a sufficienza in passato.
E’ bene ricordare che prima del ’59 c’è stato il ’56, cioè l’ VIII Congresso in cui si sviluppò la svolta del ’43 di Salerno che portò alla Liberazione e alla Costituzione Italiana, punto di riferimento della linea politico-strategica del PCI; all’VIII Congresso venne approvata la Dichiarazione Programmatica, base di quella che sarà chiamata la “via democratica al socialismo”; la stessa iscrizione al PCI verrà riferita alle scelte programmatiche e non a scelte ideologiche; inoltre è del 1946 il discorso di Togliatti a Reggio Emilia su “Ceti medi ed Emilia rossa”.
Ovviamente non fu una scelta facile e, come si disse più volte, quella svolta in Emilia -Romagna e a Bologna avvenne con tre anni di ritardo.
Non c’era quindi il rischio di “espulsione” per Fanti per la frase riportata, era invece possibile che quella “svolta” non si affermasse nella nostra realtà: il suo affermarsi, se pur con tante difficoltà e contraddizioni è certamente un merito di Fanti e di tanti altri con lui.
Il rapporto tra Togliatti e Fanti è certo un punto interessante da indagare.
Bravo Soglia, una scelta importante che spero si realizzi.
Mi permetto di ricordare un’altro importante contributo alla storia della nostra citta’, costituito dal bellissimo ed emozionante film documentario LA FEBBRE DEL FARE – Bologna 1945-1980 prodotto dalla Cineteca di Bologna e realizzato da Michele Mellara e Alessandro Rossi. Risale solo al 2010 ed e’ dedicato ai tre primi grandi sindaci di Bologna dopo la Liberazione: Dozza, Fanti e Zangheri.
Ben venga un’opera dedicata esclusivamente a Guido Fanti che se lo merita enormemente e non vedo l’ora di visionarlo complimentandomi in anticipo con gli autori.
Confesso che so più di Dozza, complice anche un video, che dei sindaci di Bologna che sono venuti dopo. Anche di Dossetti ho imparato quasi tutto da un film. Ormai buona parte della informazione storica, soprattutto della storia recente viene dai video. So che ne stanno realizzando un film anche su Lercaro. Ben venga un film su Fanti.
Domanda: ci sono più banalmente scritti sui vari sindaci che si sono succedute a bologna che meriti leggere?
Guido Fanti è stato un politico ed un intellettuale di altissima caratura. La sua azione politica ha determinato aperture silenziose ma intense ed è stato forse il più autentico precursore dell’Ulivo, determinando grandi successi nell’azione politica cittadina sin dai tempi in cui fu Segretario della Federazione. Qualsiasi iniziativa che riporti in luce le direttrici ideali e politiche a cui si ispirò, e la sua capacità di costruire, è un grande dono per la Città.