Sei consiglieri di maggioranza – Santori, Begaj, De Martino, Negash, Larghetti e Tarsitano – con un post su Facebook si schierano contro le identificazioni preventive eseguite dalle Forze dell’Ordine in accordo con l’amministrazione. Un caso politico, ma anche mediatico. Perché se la comunicazione ha delle regole precise, quella istituzionale ne ha ancora di più. E chi ricopre cariche pubbliche deve pensare molto più di un qualunque cittadino a quello che dice e soprattutto a come lo dice
di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB
La parola è d’argento, il silenzio è d’oro. Ci sono giorni in cui, per chi scrive, sarebbe molto più facile assecondare il vecchio proverbio. Ma purtroppo per me il silenzio è anche dei pavidi, e non si addice al mestiere di giornalista. E quindi, pur con disagio, mi tocca parlare delle ultime polemiche sulla sicurezza occorse in seno al Consiglio Comunale, lato maggioranza.
Per chi ancora non fosse a conoscenza dei fatti, basti dire che sei consiglieri neoeletti – Santori, Begaj, De Martino, Negash, Larghetti e Tarsitano – dopo aver ricevuto alcune segnalazioni in merito a identificazioni preventive di ragazzi, eseguite dalle Forze dell’Ordine per le vie della città, decidono di denunciare la cosa con un post su Facebook, mostrando i loro documenti in segno di protesta. I giornali rilanciano, l’opposizione contesta, il sindaco si stizzisce. Voilà le bordel…
Che sul dossier “sicurezza” a Bologna ci siano spesso ampie differenze di vedute tra amministrazione e autorità di pubblica sicurezza non è una novità. Ricordiamo ancora gli avvisi di garanzia a Virginio Merola e all’ex assessora al welfare Amelia Frascaroli, all’epoca degli sgomberi che stravolsero la geografia degli spazi occupati in città. Matteo Lepore c’era allora e c’è adesso, e forse anche per questo ultimamente il clima istituzionale sembra(va?) più disteso e collaborativo, con tanto di strategia condivisa tra Comune e Questura, identificazioni preventive incluse. In fin dei conti, l’esperienza di solito insegna.
Proprio per tali ragioni, però, si fa fatica a comprendere quale fosse lo scopo di questa presa di posizione dei sei. Perché al di là del merito, che si può anche condividere, c’è il metodo. Che in politica non è per niente un fattore secondario.
La comunicazione ha delle regole precise. Quella istituzionale ancora di più. Se un quisque de populo, vedendo le Forze dell’Ordine che controllano i documenti a un ragazzo, si indigna pubblicamente sui social, esercita un suo diritto. Se lo fa un giornalista, la sua grave colpa è quella di essere poco informato. Ma se lo fa un rappresentante dell’amministrazione, dopo mesi di tavoli istituzionali e discussioni pubbliche a tema sicurezza, rischia di instillare il dubbio che non sia adatto al ruolo che ricopre.
È ancora presto per cantare vittoria, ma forse stiamo faticosamente uscendo dall’epoca dell’uno vale uno e del dilettantismo come strategia esistenziale. Abbiamo capito che non siamo tutti uguali, che ognuno ha le sue idee, le sue competenze, la sua storia. Soprattutto, abbiamo capito che governare è un atto difficile, forse il più difficile in assoluto. Per questo non lo può fare chiunque.
Naturalmente io so che i sei consiglieri hanno tutte le carte in regola per essere dove sono. Dio mio se lo so. E del resto, anche se non lo fossero, io non possiedo licenza per dare patenti in tal senso. Tuttavia, credo che il loro primo compito non sia convincere chi come me è già convinto, ma portare dalla loro parte anche chi non lo è. E fare i kamikaze digitali non mi pare la strategia più adatta allo scopo, a maggior ragione se si è poi costretti a una sostanziale ritirata, per quanto onorevole possa essere.
La morale di questa storia, se ce n’è una, è molto semplice: la visibilità dà, la visibilità toglie. Lo sanno bene i Renzi, i Di Maio, i Salvini e tutti quelli che in questi anni ne hanno abusato fino all’overdose. Ma soprattutto la visibilità crea dipendenza, per soddisfare la quale – molto spesso – si finiscono a fare cose di cui si è poi costretti a pentirsi qualche istante dopo. E per capirlo a volte non servono studi pregressi in filosofia della comunicazione, né un particolare fiuto politico. Basta il semplice buonsenso.
Ineccepibile
Ottimo
Possiamo dire che una volta i partiti, almeno i maggiori, avevano delle scuole di formazione che preparavano le future leve al mestiere dell’amministratore, governante o politico che dir si voglia e che oggi, venute meno quelle scuole, alcuni di coloro che popolano le stanze del potere danno spesso la sensazione di lavorare con improvvisazione, senza una visione realistica del futuro e delle conseguenze delle loro azioni?
Pensare prima di postare, pensare per non liatare
Sul versante della pubblica sicurezza, ma anche su quello della polizia giudiziaria, le nostre forze dell’ordine sono soggette a limitazioni – anche di fatto – che ne vanificano la funzione ed il lavoro.
La precedente Amministrazione, probabilmente più consapevole di ciò, aveva cercato di muoversi con un più forte concerto rispetto ad esse.
Forse i Consiglieri dovrebbero sapere che l’unica ulteriore limitazione possibile, per via politica, è una legge del Parlamento; che non è – in grazia del Cielo – nella potestà del livello amministrativo di cui sono parte.
E se mai un Parlamento sventato dovesse approvare una tal legge, allora tanto varrebbe abolire la pubblica sicurezza oltre a parte parte non trascurabile della funzione di polizia giudiziaria.
Non molto adeguati, no…
Forse veramente i Consiglieri insediati avrebbero bisogno di un minicorso di diritto e procedura: mi sembra una necessità che emerge, fuori da ogni polemica.