Dopo un lungo sonno durato mesi, la possibilità di concedere la cittadinanza a chi è nato nella nostra città ha esacerbato gli umori di alcuni attori non protagonisti di questa storia. Sempre gli stessi
di Andrea Femia, digital strategist cB
Forse Bologna non è esattamente la città che può fungere da termometro dello stato di salute del sovranismo italiano. Probabilmente la destra bolognese non sarà mai adeguata a sfornare personaggi capaci di vincere premi per ruoli da protagonista. Ciò che è sicuro, però, è che se c’è un bacio magico capace di ridare vita a un blob senza obiettivi, questo apostrofo rosa è ben interpretato dallo Ius Soli.
Per chi si fosse perso le puntate precedenti, nei giorni scorsi era trapelata la voce che voleva la squadra del sindaco Lepore impegnata a trovare una via – creativa ma sostanziale – per provare a smuovere il carro dello Ius soli dopo anni di nulla. Questa cosa è stata ribadita con una recentissima conferenza stampa nella quale si è capito il piano: dare la cittadinanza onoraria bolognese a chiunque nasca in città. Subito panico tra le destre, che tra banchetti, flash mob e iniziative di dubbio impatto, hanno deciso di tirare via le coperte del letargo.
A livello nazionale, la spinta maggiore che abbia mai vissuto l’istituto che non c’è arrivò a cavallo tra il governo Renzi e il governo Gentiloni. Due governi molto più di centro che di sinistra.
Ci si chiede ancora, legittimamente, se all’epoca sia mancato più il coraggio o la visione. Quelli che raccontano meglio le cose fanno prevalere la sensazione che sia mancata la seconda, ma non è sempre detto che dietro un racconto ben scritto si nasconda la verità.
Ciò che conta è che adesso che ci avviamo alla fine di un’altra legislatura, questo enorme titano che si nasconde dietro la definizione di Ius Soli è tornato a muovere dei piccoli passi proprio nella città in cui la destra, per definizione, conta quanto il due di coppe quando briscola è a denari.
Questo istituto fantasma (nel nostro Paese) gode di una simpatia bipartisan abbastanza accentuata. Sui grandi numeri aggregati, secondo qualunque sondaggio, non c’è partita. Come è stato per la legalizzazione delle droghe leggere, come è valso per l’eutanasia, anche in questo caso ci troviamo nel campo in cui per qualche ragione, un diritto in più – che di per sé nulla toglie ad alcuno – sembra dotato di una maledizione per la quale qualche anima inquieta delinea senza alcun nesso logico una struttura di pericolo tale da compromettere l’architettura dell’intero ordinamento.
Immaginatevi quanto deve essere abnorme questo pericolo agli occhi dei sovranisti nostrani, che si sono visti costretti a svegliarsi dal torpore che li ha caratterizzati finanche in campagna elettorale. Sembravano settati in modalità adorativa nei confronti del Dio riposo, fino a che il loro personalissimo Golem non è tornato a bussare alle porte di noi normalissimi, italici Sapiens Sapiens che, come in un fumetto, ci ritroviamo stampato un interrogativo sulla fronte a significare “ma perché, siamo ancora a questo?”.
Chissà cosa accade nei loro pensieri. Sarebbe molto intrigante conoscere la prospettiva di terrore dalla quale deriva una così enorme reazione. Sembra uno scatto di nervi più che un esercizio guidato dal raziocinio. Reazione tanto ruvida da apparire falsa. Così tanto sgarbata da risultare tenera. Ipocondriaca fino all’autoironia.
Se non fosse in ballo il miglioramento della vita delle persone, ci sarebbe quasi da godere di questo surreale teatro così poco nobile, che porta in scena attori pronti a interpretare chi, pur di non godere della gioia altrui, si specchierebbe nel proprio io in eterno, fino all’insoddisfazione.
Però quel ballo è lì da vedersi, e possibilmente da ballarsi.
E se da queste parti la smettessero di specchiarsi nell’oblio dei loro traumi, avremmo tutti da guadagnarne. Loro stessi compresi.