La radio morirà, viva la radio!

Una consuetudine che porta in calce una precisa data di scadenza, se solo un’anima buona si peritasse di fare una botta di conti, misurando la proiezione della curva che precipitevolissimevolmente sembra puntare direttamente a tre metri sotto al suolo

di Maria Camilla Mellustri, ausiliaria


Interno giorno, II B, in una scuola secondaria di primo grado. Età media degli astanti: 12.

La vecchia chiede ai bambini: ‘’ma voi, la radio, avete presente cos’è?’’ I bambini guardano la vecchia e non rispondono subito. Qualcuno alza la mano per riferire che effettivamente, a casa loro, i genitori ne hanno una e l’ascoltano pure. Una ragazzina conferma che questa bizzarra abitudine si manifesta anche nell’abitacolo dell’auto di famiglia. Sa che ‘’loro’’ ascoltano la radio pure lì, ma lei non saprebbe dire cosa sentono, perché con gli auricolari delle cuffiette infilati nelle orecchie, non può udire altro se non ciò che arriva dal suo cellulare posato in grembo.

La vecchia, quando aveva l’età della bambina, amava molto una canzonetta allora molto in voga. Il ritornello diceva che il video aveva ucciso le star della radio. La cosa aveva più il sapore della boutade: di radio ce ne erano millemila e pure lei, nella sua dodicennità, era un’abituale ascoltatrice di emittenti pubbliche e private. L’offerta era abbondante e le star della radio sembravano godere di ottima salute, nonostante le profezie di Trevor Horn: ‘’Tiè, uccellaccio del malaugurio! Tu e il tuo video ammazza stelle!’’.

E intanto il mondo andava avanti. Nella città della vecchia dodicenne di allora, spadroneggiava il Partito Comunista, nel resto  del paese c’era la Dc. A ovest gli americani, a est i sovietici. Per ascoltare la musica c’erano il giradischi, il mangianastri, la radio e la Tv. Per sapere cosa succedeva in giro, si guardava il telegiornale, si comprava un quotidiano in edicola e si accendeva la radio all’ora del Gr.

Ma quel mondo che ci sembrava immutabile, immutabile non lo era. Inutile rivangare. Del resto anche gli stegosauri pensavano che il loro spensierato habitat sarebbe rimasto lo stesso ancora per qualche decina di milioni di anni… non fosse per quel lampo nel cielo che era apparso e aveva preso ad ingrandirsi a vista d’occhio.

Adieu comunisti! Adieu democristi! Adieu blocchi contrapposti! Adieu… sì, miei piccoli lettori e mie piccole lettrici: adieu anche a lei, alla radio, la cui esistenza è ancora possibile per una forza d’inerzia prodotta dalle generazioni nate nel secolo scorso.

Ma il tempo esercita le funzioni della forza d’attrito e lentamente la corsa inarrestabile si arresterà, come d’altronde sta accadendo a quei mucchi di carta che ancora qualcuno si ostina a comprare in edicola. Una consuetudine che porta in calce una precisa data di scadenza, se solo un’anima buona si peritasse di fare una botta di conti, misurando la proiezione della curva che precipitevolissimevolmente sembra puntare direttamente a tre metri sotto al suolo. La radio, morirà, viva la radio! 

D’altronde l’emittenza locale è già defunta da mo’, senza che nessuno si sia stracciate le vesti più di tanto. Anche quelli che oggi sembrano averne nostalgia. La vecchia se lo ricorda bene. Quando era giovane ce ne erano un sacco. Di radio, s’intende. E per tutti i gusti e tutte le tasche.

Lei poi, si era particolarmente affezionata ad una di queste e per trent’anni l’aveva ascoltata tutte le mattine. Poi pure quella, come altre prima di lei, aveva smesso di esistere. Come l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e gli stegosauri. Fu un asteroide a decretarne il trapasso? No, nulla di così sconvolgente e spettacolare. Niente di apocalittico e grandioso nel suo orrore. Le cause furono decisamente più dozzinali. Qualcuno aveva semplicemente deciso di smettere di dare acqua alla pianta, finché quella non si era ridotta ad un ciuffo di steli e foglie rinsecchite.

Il tempo è galantuomo, ma spesso anche un po’ cafone. Se ne impippa dei nostri sentimenti, delle certezze, dei bei ricordi e degli stati quo: quand’è il momento non c’è ragione che tenga.

Il sole si è spento da otto, apparentemente interminabili minuti e noi continuiamo a vederne la luce e a percepirne il calore residuo. Però, coraggio, nel frattempo nuovi ammassi di gas si sono compattati e la forza di gravità ha accesso stelle che brillano di una luce che ci sembra sinistra. A noi.

Loro, quelli di II B, si muovono agili sotto ai suoi raggi e la vecchia li osserva felice. Le stelle della radio esploderanno come supernòve, si disperderanno nel cosmo e dalla loro morte avremo nuovi ammassi, nuovi astri e pianeti e nuove galassie. E non sarà una radio a raccontarci tutto questo.


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