Una prospettiva europea per un intervento risolutivo e un dialogo delle Istituzioni con le rappresentanze dei lavoratori su piattaforma
di Riccardo Mancuso, Filt Ggil Bologna
Da quando in Italia, nel 2016, la lente d’ingrandimento si è posata sulle condizioni di lavoro dei riders, o ciclofattorini, la questione principale concernente la piena regolamentazione del settore è stata più volte sollevata.
Negli anni è stata sollecitata un’azione legislativa che mirasse a un intervento radicale, nella direzione del componimento di un quadro comprendente condizioni uguali per tutti in seguito al riconoscimento di questa categoria di lavoratori come dipendenti delle multinazionali del food delivery, con il conseguente ingresso di tutti i diritti e le tutele del caso.
Una duratura stagione di mobilitazioni ha dimostrato di saper spingere la politica a dare una risposta per colmare un vuoto normativo che, tra i fattori che negli anni hanno permesso alle piattaforme di prosperare grazie ad un sistema di sfruttamento della manodopera, è stato riempito in Italia in modo parziale e insufficiente con la legge 128/2019, la cosiddetta legge Riders.
Il licenziamento di tale provvedimento dava seguito alle speranze di migliaia di lavoratori e lavoratrici che si sono scontrati con una realtà che ha visto ancora una volta le miserie della politica prevalere sulla tutela dell’interesse collettivo. Una scellerata mediazione ha infatti permesso la scrittura di un testo con evidenti carenze e la conseguente elusione da parte delle multinazionali raccoltesi all’interno del cartello datoriale Assodelivery, che ha sottoscritto un accordo di comodo con un sindacato giallo, contratto successivamente denunciato e riconosciuto come illegittimo e discriminatorio dai tribunali di Bologna e Firenze.
Pertanto va posta una seria attenzione non solo sulla bontà del provvedimento nel merito, ma anche sull’efficacia di una direttiva dalla portata storica che vada in due direzioni: facilità di recepimento da parte degli Stati membri dell’Ue e compattezza di un testo privo di faglie che potrebbero favorire l’elusione da parte delle multinazionali. Queste ultime hanno ampiamente dato prova di custodire gelosamente una visione del mondo del lavoro distante e opposta rispetto all’intervento auspicato, cui il legislatore sembra voler dare seguito mirando ad una regolamentazione del settore.
Tale necessità ha trovato i favori di un’ampia maggioranza della rappresentanza politica, dai popolari alla sinistra radicale. Si tratta infatti di una battaglia campale che riguarda le trasformazioni del mondo del lavoro e il profilo che quest’ultimo assumerà negli anni a venire, con un sempre più massiccio innesto della digitalizzazione e di sistemi comprendenti sofisticati algoritmi, al centro dei temi posti all’attenzione dell’allora Presidente della Commissione Lavoro del Parlamento Europeo, Nicolas Schmit.
Una trasparenza nell’utilizzo dello strumento tecnologico utilizzato nell’organizzazione del lavoro e dei dati sensibili, sempre più elemento economicamente rilevante e impattante nel direzionamento delle abitudini dei consumatori che usufruiscono dei servizi offerti all’interno di questo settore, insieme a un riconoscimento giuridico come workers e all’inversione dell’onere di prova, grazie al quale sarebbero le multinazionali a doversi rivolgere ai giudici qualora volessero dimostrare la natura autonoma del nostro rapporto di lavoro, sono una base imprescindibile di partenza che va difesa a tutti i costi.
Un punto di criticità potrebbe riguardare il tema del possibile mantenimento della multicommittenza nel medesimo orario di lavoro. Andrebbe qui fatta una riflessione compiuta e attenta sulla tutela della sicurezza del lavoratore che, se sottoposto a un regime che prevede la consegna con più piattaforme, andrebbe incontro non solo a un accavallamento delle prestazioni lavorative, con conseguente aumento dei carichi di lavoro e delle tratte percorse, ma anche alle presenza di due applicazioni e due algoritmi distinti che non sarebbero in grado di tracciare un percorso favorevole alle esigenze della prestazione del singolo lavoratore.
La Direttiva sulla cosiddetta Gig Economy è una tappa importante di un percorso che parte dal basso e ha un carattere transnazionale. In Italia parte dal coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori e delle lavoratrici nella stesura del primo accordo metropolitano che ha fissato un tetto di diritti e tutele, ovvero la “Carta dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici in contesto urbano”, firmata a Bologna nel 2018 da sindacati, amministrazione e alcuni operatori del settore.
Un patto sociale che ha consentito un avanzamento sul piano di una retribuzione fissa oraria, un monte orario garantito, l’eliminazione del ranking reputazionale e la possibilità di esercitare i diritti sindacali per le aziende sottoscriventi (Sgnam/MyMenu e Domino’s), mostrando i vantaggi di un rapporto tra istituzioni – con il Comune impegnato come facilitatore di processi – e corpi intermedi nella configurazione di una nuova tipologia di lavoro che li vede impegnati nella sfida di un sindacato di strada, dove i delegati e le delegate sono in prima linea nella lotta per il futuro del mondo del lavoro.
Un futuro che, auspichiamo, porti un coinvolgimento di chi vive le condizioni di lavoro tutti i giorni sulla sua pelle, nel solco di una spinta da parte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici e di un rapporto dialogico con le istituzioni che, in Italia, trova sublimazione nello straordinario esempio dello Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici del maggio 1970.
Photo credits: Matteo Badini