Non stupitevi se il consigliere “sardina” con delega al turismo dedica un elogio funebre alle oche del consigliere “orsa” con delega al benessere animale. La vicinanza e l’empatia fanno parte di una nuova umanità politica, così come deve (o perlomeno dovrebbe) rientrare tra i sani principi delle battaglie politiche trasversali dare voce a un compagno “ammaccato”
di Mattia Santori, consigliere comunale
La prima volta che ho visto Davide Celli, lui era travestito da orso. Eravamo entrambi in Piazza Maggiore, per l’evento finale della campagna elettorale di Matteo Lepore. Lui calcava il palco con grande sicurezza, io ero tra quegli (tanti) spettatori, che pensarono che la sua scenetta fosse fuori luogo.
Ma più si avvicendavano gli interventi politici più iniziai a rendermi conto che Davide era stato tra i pochi capaci di lasciare il segno, e quindi di fare innovazione. Me ne convinsi quando, tornando a casa, sentii che la gente intorno a me non parlava d’altro. Io stesso raccontai la scena dell’orso a diversi amici nei giorni seguenti.
Solo in un secondo momento mi resi conto che mentre raccontavo la scena di Celli sul palco stavo indirettamente facendo campagna di sensibilizzazione sugli orsi.
Forse allora Celli non aveva fatto solo innovazione, ma aveva fatto comunicazione politica. Forse allora lo sfigato che faceva il saluto dell’orso davanti a un migliaio di persone incredule non era poi così sfigato.
Me lo spiegò lui stesso, quando qualche mese dopo andai a trovarlo a casa sua, a Monzuno: «Noi animalisti non siamo famosi, non cavalchiamo un tema che appassiona i media e l’opinione pubblica, per questo quando fai battaglia animalista non puoi permetterti di fare il fighetto ma devi essere pronto a tutto pur di lasciare il segno nel poco tempo che la scena politico-mediatica ti mette a disposizione.»
Quel giorno capii tanto del mondo animalista, e soprattutto conobbi il Celli uomo, attivista, figlio, marito e padre che spesso preferisce nascondersi dietro una maschera da giullare caduto dalle nuvole. È proprio vero che se non si conoscono le storie delle persone è molto difficile riuscire a giudicare, empatizzare, accogliere.
Il mio intervento in Consiglio di qualche giorno fa è la naturale conseguenza di quel pomeriggio passato a casa sua. Quell’intervento era rivolto a una persona che ogni mattina per 14 anni ha aperto e chiuso il rifugio notturno delle proprie oche; a una persona che alleva centinaia di piccoli castagni in casa sua per favorire la contaminazione biologica e la sopravvivenza dei nostri boschi appenninici; a una persona che ha concepito e costruito in mezzo a un campo di grano una biblioteca in memoria di suo padre; una persona che sul web è noto con lo pseudonimo “Daniza”, un’orsa slovena emigrata in Trentino e brutalmente uccisa da un fucile della Forestale italiana.
Un intervento pubblico, fatto in un’aula dove lui, pur connesso da casa, poteva ascoltare.
Eccesso di empatia? Forse. Mancanza di galateo istituzionale? Può essere. Ma del resto gli elettori hanno votato un Consiglio costituito per un terzo da consiglieri under 35 e per due terzi da consiglieri al primo mandato. Premiando soprattutto percorsi di politica dal basso e innovativi, che per la prima volta si stanno contaminando dentro alle istituzioni e non fuori.
Allora non stupitevi se il consigliere “sardina” con delega al turismo dedica un elogio funebre alle oche del consigliere “orsa” con delega al benessere animale. La vicinanza e l’empatia fanno parte di una nuova umanità politica, così come deve (o perlomeno dovrebbe) rientrare tra i sani principi delle battaglie politiche trasversali dare voce a un compagno “ammaccato”.
Le centinaia di messaggi di insulti e sfottò che mi sono arrivate nelle prime ore confermano che per il mondo animalista è durissima essere presi sul serio. Le centinaia di messaggi di solidarietà e apprezzamento che mi stanno arrivando ancora oggi da parte di amanti degli animali o di persone che hanno subito un incidente per via di un cane “mal-educato” confermano che si è data rappresentanza politica.
Considerando che, alla fine dei conti, questo è il senso ultimo del mio lavoro politico, non posso che esserne contento.
La vera colpa, semmai, sarebbe non riempire di concretezza un vaso di Pandora che si è aperto grazie alla denuncia di Celli. La sua difficoltà personale è diventata un fatto pubblico. Ora sta a noi farla diventare una battaglia politica.