Villa Gina, quel pasticciaccio di Borgo Panigale

Un piccolo gioiello dell’architettura del primo ‘900 destinato alla rovina dagli amministratori del XXI secolo. Da oltre vent’anni solo promesse per il recupero dell’opera di Attilio Muggia. Elena Gaggioli, presidente del Quartiere: «Potrebbe ospitare la Casa della cultura. Ma appartiene all’Asp, serve il loro finanziamento». L’ente comunale risponde: «Non risulta tra le nostre proprietà». E nessuno sa di chi è

di Achille Scalabrin, giornalista


C’è un fantasma in via della Salute, a Borgo Panigale, ha 122 anni e due nomi: Villa Gina o Villa Flora. In passato è stato un piccolo gioiello dell’architettura eclettica d’inizio Novecento, oggi è soltanto un ammasso di rovine senza proprietario. E probabilmente senza futuro, perché ormai da decenni l’idea di restaurarla e di consegnarla alla comunità si schianta contro rigidità e burocrazia.

Tutto inizia nel 1900, quando il conte Cosimo Pennazzi, principe vassallo dell’Impero Ottomano e amministratore unico della Società Coloniale Cementi, con sede ad Alessandria d’Egitto, fa costruire la villa e la regala alla moglie, Virginia Lisi. Progettazione e esecuzione sono affidate all’ingegnere Attilio Muggia, gli affreschi al pittore Antonio Mosca.

Due nomi che oggi dicono poco o nulla ai più, ma che all’epoca godevano di ottima fama, e non soltanto a Bologna. Soprattutto il primo. Muggia, ebreo, nato a Venezia nel 1861, si era traferito a Bologna con la famiglia a undici anni, e qui si era laureato in ingegneria civile con indirizzo architettonico. All’epoca della committenza Pennazzi, il 39enne ingegnere ha già realizzato la scalea della Montagnola, i palazzi Maccaferri e Bacigalupo nel tratto finale di via Indipendenza, ha vinto ex aequo il concorso per il Tempio Israelitico di Roma, ha partecipato al concorso per il Museo della antichità egizie al Cairo. È un innovatore a cominciare dalle modalità di costruzione. Attilio Muggia è infatti il pioniere del cemento armato in Italia, e ha l’esclusiva del rivoluzionario sistema francese Hennebique. L’Egitto e il béton armé formano quindi il ponte che collega Muggia a Pennazzi: stilemi egizi, motivi “secessionisti”, murature in laterizio, solai in cemento armato, terrazze impermeabilizzate con asfalto, serrande d’acciaio sono elementi della contaminazione che plasma la villa di via della Salute. Eclettismo e Liberty per modellare un gioiellino.

Da quel momento per Muggia è un succedersi di progetti e realizzazioni: la sinagoga di Bologna in via de’ Gombruti, la cattedra di Architettura tecnica (dal 1912 al 1935, tra i suoi allievi e collaboratori Pier Luigi Nervi), membro della giuria per la realizzazione della sede della Società delle Nazioni a Ginevra (con beneplacito di Mussolini). Nel frattempo il conte Pennazzi fa definitivamente ritorno in Egitto e per Villa Gina inizia il “calvario”, cambi di proprietà, di nome e di destinazioni d’uso: un asilo, una casa di cura per malattie mentali, rifugio per gli sfollati, sede della Regia Aeronautica Militare. E poi soltanto le rovine che si possono vedere oggi, in un piccolo parco inselvatichito.

È possibile recuperarla? Nel 2004 il Quartiere Borgo Panigale deliberò l’acquisizione dell’edificio per la costruzione di un centro culturale, nel 2007 approvò un ordine del giorno per «recuperare il patrimonio». Buoni propositi persi nella nebbia: nessuno sapeva a chi appartenesse Villa Gina. Al Catasto l’ultimo proprietario risultava essere l’Ente nazionale di lavoro per ciechi. Ma era stato soppresso. Si ipotizzò allora che fosse passato al Ministero del Tesoro, ma da Roma arrivò la smentita: non appartiene allo Stato.

A quasi 20 anni di distanza, giriamo le domande alla presidente del Quartiere Borgo Panigale-Reno, Elena Gaggioli. La risposta: «Mi piacerebbe fare di Villa Gina una Casa della Cultura, un Centro per giovani. Ma noi non abbiamo i fondi. Voglio però fare un’opera di sensibilizzazione, portare l’attenzione su quell’area a ridosso dell’aeroporto». Ora si sa almeno chi è il proprietario? «Certo, è l’Asp Città di Bologna (ente pubblico 97 per cento del Comune, 2 della Città Metropolitana, 1 della Fondazione Carisbo, ndr), la villa fa parte del patrimonio che ha incamerato da opere pie, enti di beneficenza. Prenderò contatto con loro per sapere se intendono finanziare il restauro».

Anticipando la presidente, ci siamo a nostra volta rivolti all’Asp, e la risposta è stata: «Villa Gina non fa parte delle nostre proprietà». L’elenco dei beni immobiliari dell’ente, disponibile su Internet, lo conferma. A chi appartiene allora l’area?  Chi deve salvare l’edificio? Nel gioco dell’oca si torna così alla prima casella. E sono passati vent’anni di inutili chiacchiere. Cambiano gli amministratori, ma la farsa ha lo stesso copione.


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