Intervista al presidente della Comunità Islamica di Bologna e responsabile nazionale dell’Unione delle Comunità Islamiche in Italia, tra impegno civile sul territorio e confronto con le altre comunità confessionali del Paese
di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB
Secondo gli ultimi dati ufficiali, la comunità islamica bolognese conta circa 25mila credenti, che salgono a 44mila considerando tutta l’area metropolitana. Una comunità molto grande e molto attiva, che dal 2014 ha come riferimento istituzionale locale la Cib, Comunità Islamica di Bologna, comprendente dodici sale di preghiera del territorio comunale bolognese.
Il presidente è Yassine Lafram, bolognese d’adozione dopo che, nel 2005, si trasferì da Torino per laurearsi in Lettere e Filosofia all’Alma Mater. Dal 2018 Lafram è anche presidente nazionale di Ucoii, l’Unione delle Comunità Islamiche in Italia, attiva nel nostro Paese fin dal 1990.
Un lavoro duplice, quello di Cib e Ucoii, che mira a creare sinergie e relazioni tanto tra i vari centri culturali islamici quanto tra questi e le istituzioni, le associazioni, la società civile e le altre comunità religiose del territorio.
Tra i punti focali della vostra azione ci sono la tutela del diritto costituzionale alla libertà religiosa e la volontà di dare vita a una comunità islamica sempre più integrata e radicata nel territorio. Come si concretizza questo vostro impegno? Il nuovo centro socio culturale “El Salam” a Corticella va in questa direzione?
Abbiamo sempre lavorato per rafforzare quella che è la coesione sociale all’interno della comunità, proponendo delle attività formative, didattiche e ricreative anche per i bambini, oltre a campagne di sensibilizzazione su i temi più importanti per la città. Crediamo molto in un dialogo interculturale proficuo e continuo con le istituzioni e le altre associazioni del territorio.
Dall’altra parte lavoriamo anche molto su quello che è il dialogo interreligioso, non solo con la diocesi di Bologna e con la comunità ebraica ma anche con altre realtà religiose presenti nella nostra città, che ha un pluralismo religioso e culturale che la rende sempre più ricca in termini di conoscenza e confronto. In questa cornice si inseriscono eventi come ad esempio l’Iftar – cioè la condivisione del pasto di rottura del digiuno nel mese del Ramadan – che prima della pandemia celebravamo insieme alla cittadinanza in via Torleone. Quest’anno abbiamo deciso di farlo insieme alle autorità nel nuovo spazio di via della Casa Buia, ma dall’anno prossimo speriamo di poter riprendere con l’Iftar Street.
L’integrazione ovviamente non è una strada a senso unico, bisogna venirsi incontro. Il 15 maggio ad esempio è stato l’anniversario della Nakba – l’esodo palestinese del 1948, causato dalla nascita dello Stato d’Israele – e voi eravate in piazza. Ritiene che istituzioni e società bolognesi siano ricettive rispetto alle tematiche che voi cercate di porre all’attenzione pubblica?
Storicamente parlando la nostra è una città solidale e accogliente, per cui il rapporto con la comunità islamica è un rapporto di condivisione, collaborazione e compartecipazione. E allora anche i temi che proponiamo trovano condivisione dall’altra parte. Noi cerchiamo di rispondere anche a quelle che sono le esigenze della nostra città quando ovviamente ci sono giornate o eventi particolari, cerchiamo di dare il nostro contributo, di essere propositivi. Durante la pandemia per esempio abbiamo dato vita a una piccola raccolta fondi a favore degli ospedali della città, raccogliendo circa 14mila euro. Abbiamo anche messo in campo diversi volontari quando magari c’erano da ripulire dai graffiti alcune zone della città.
È indubbio comunque che Bologna ci considera cittadini e questo ci mette nelle condizioni di poter esprimere al meglio la nostra cittadinanza e di essere una comunità riconosciuta e riconoscibile. Speriamo di mantenere una certa costanza in queste relazioni, che sicuramente fanno bene a tutta la comunità dei cittadini.
Negli ultimi anni sono diversi i rappresentanti politici di fede o cultura musulmana che a Bologna e in Regione si sono affacciati alla politica. L’attivismo politico è un veicolo utile per raggiungere lo scopo dell’integrazione?
Sicuramente questo è un sintomo positivo e ci dice che la comunità islamica ha fatto dei passi in avanti rispetto alla partecipazione politica. I musulmani non solo oggi votano ma addirittura propongono volti e programmi elettorali nuovi, attraverso ovviamente il proprio punto di vista. Dunque ci sono progressi rispetto all’integrazione e anche all’interazione dei musulmani con la politica territoriale e questo ci fa solo del bene.
Noi crediamo molto nella partecipazione politica perché sappiamo che, come credenti, abbiamo il dovere di dare il nostro contributo. Abbiamo il dovere di essere presenti rispetto a quelle che sono le esigenze e i bisogni della gente. Se noi guardiamo alla politica come a uno strumento che tutela il bene comune, ecco che i fedeli sono chiamati a farne parte, ed è ciò che proponiamo alla nostra comunità. Il minimo è andare a votare ma anche scendere in prima linea, ovviamente nel rispetto degli orientamenti politici di ciascuno: noi non diamo certo un indirizzo politico. La comunità è fatta di persone con diverse sensibilità politiche, per cui è giusto che ognuno esprima la sua nel modo più libero possibile ed è su questo che noi lavoriamo molto.
Come Comunità Islamica di Bologna rispetto all’emergenza dei profughi ucraini vi siete attivati immediatamente. In un’intervista recente lei ha però sottolineato un doppio standard rispetto ai profughi siriani o di altra provenienza che ancora sono bloccati e respinti fuori dall’Unione Europea
La questione migratoria in questi ultimi anni ci ha fatto molto riflettere perché abbiamo visto che si creavano delle disuguaglianze fra i diversi profughi che giungevano in Europa. Il fatto stesso che l’Europa per tramite di alcuni paesi abbia costruito oltre 500 km di recinzioni per respingere donne, bambini, uomini che scappano dalla guerra la dice lunga.
Da oltre 10 anni i profughi siriani continuano ad arrivare a causa dalle bombe e dei raid aerei russi, eppure Putin sembra essere diventato cattivo solamente adesso. La mobilitazione per l’Ucraina è giusta, ma in passato non abbiamo visto grandi prese di posizione. Ciò rattrista molto perché la sacralità della vita va al di là delle appartenenze etniche, nazionali e religiose, e chi scappa dalla morte va tutelato e protetto sempre. Quello che è successo e succede ancora oggi con i profughi siriani ci deve far riflettere molto su quanto noi come europei siamo effettivamente protettori dei diritti umani.
Ahimè oggi stiamo assistendo a una selezione o meglio a una solidarietà selettiva. E questi doppi standard tradiscono quelli che sono i valori che hanno costituito lo spirito della nostra Europa. Un tradimento di cui dobbiamo vergognarci tutti, perché c’è una corresponsabilità assolutamente riconosciuta a livello europeo.
Come Ucoii, con tutti i nostri limiti, cerchiamo di aiutare tutti e sostenere le cause di tutte le popolazioni in difficoltà. Il nostro è un contributo ovviamente molto circoscritto ma che vuole comunque esserci, perché non possiamo tirarci indietro né girarci dall’altra parte e far finta di non vedere.
Una posizione che certamente condividete anche con il Cardinale Matteo Zuppi. Commentando la sua nomina recente a capo della Cei, l’Ucoii lo ha definito un “autentico artigiano di pace”…
Con l’arcivescovo portiamo avanti un dialogo reale e sottolineo autentico, non un dialogo di facciata o verticistico fatto di pacche sulle spalle ma un dialogo che impegna le comunità di base, i luoghi di culto e i singoli. Ci incontriamo, ci confrontiamo e discutiamo, trascinando così anche le nostre comunità in questo scambio.
Per conoscerci dobbiamo creare una piattaforma sulla quale le persone riescano a dialogare nel rispetto l’uno dell’altro, superando certi limiti e andando oltre le proprie paure e i propri pregiudizi. Per abbattere i muri della paura e della diffidenza non dobbiamo lasciare spazio agli imprenditori dell’odio ma scommettere sulla comunità dei cittadini nel suo insieme.
Visto il suo ruolo di presidente nazionale di Ucoii, la nomina dell’arcivescovo può essere l’occasione giusta per porre anche su scala più ampia e con più forza il tema del dialogo interreligioso che a Bologna vi vede entrambi protagonisti?
Crediamo fortemente che il dialogo interreligioso oggi non sia un optional ma un dovere, in un mondo di conflitti dove le religioni vengono strumentalizzate a proprio piacimento per giustificare violenze e scopi disumani. Per i credenti religiosi diventa quindi doveroso dialogare e cercare di smentire tutte quelle voci che ci vogliono vedere gli uni contro gli altri, cercare di smontare quelle teorie che vogliono scommettere sullo scontro di civiltà.
Perciò, insieme a Zuppi e all’Unedi (Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso) di Don Giuliano Savina, continueremo con ancora più forza il confronto che da anni portiamo avanti. Siamo convinti che questa sia la strada giusta da percorrere, un cammino condiviso che, come abbiamo visto, ha dato i frutti e continuerà a darne, nonostante una certa narrazione e una certa politica ancora tentino di gettare benzina sul fuoco.