È già molto meglio rispetto all’aiuola spartitraffico dedicata al verde Alexander Langer. Ma a fianco di una cerimonia in tono minore, senza la presenza del Sindaco, a un atto verso un pioniere dell’oncologia, nessuno ha rilevato un fatto gravissimo. Bologna è l’unica provincia della regione a essere priva del registro tumori, indispensabile per la prevenzione primaria. Un rimosso insostenibile
di Paolo Galletti, portavoce Europa Verde-Verdi Emilia-Romagna
Giusta l’intitolazione del ponte di via Libia a Cesare Maltoni, sia pure in tono minore senza la presenza del Sindaco. Molto meglio rispetto all’aiuola spartitraffico intitolata al verde Alexander Langer. Ma quello che nessuno ha rilevato è un fatto gravissimo.
Bologna risulta l’unica provincia dell’Emilia-Romagna priva del registro tumori. E tra le pochissime in Italia. E dire che fu proprio Cesare Maltoni un pioniere in questo campo, fin dalla fine degli anni ‘50.
Il Registro , infatti, non è un banale elenco ma uno strumento di indagine epidemiologica che sottintende l’attivazione, all’interno del sistema sanitario pubblico, di un servizio che organizza la raccolta dei dati provenienti sia dalle diagnosi delle tipologie di tumore riscontrate nei pazienti oncologici, sia dagli esami anatomo-patologici che evidenzino decessi riconducibili a patologie tumorali.
Non disporre del Registro è gravissimo perché raccolta e analisi dei dati epidemiologici sono fondamentali per predisporre le misure mirate di diagnosi precoce e di prevenzione primaria, definire le politiche sanitarie pubbliche e valutarne l’efficacia. Che non ne disponga è lacuna tanto più grave perché, grazie all’attività pionieristica di Maltoni e al Centro studi dell’Istituto Ramazzini da lui fondato, Bologna era la provincia che vantava la più ampia banca-dati sui tumori.
Tra il 1959 e il 2004 il Ramazzini ha raccolto infatti i dati di mortalità per tumori nella provincia, partendo da quelli femminili alla mammella e alla cervice, e ha pubblicato relazioni annuali sino al 2011, quando l’intera raccolta fu consegnata all’Asl. Poi il buio.
Con urgenza occorre attivare il Registro anche qui. Non è più tollerabile una simile inadempienza che può pregiudicare l’efficacia delle cure e delle misure di prevenzione primaria da definire e adottare in base alla prevalenza delle tipologie di tumore registrate.
Non meno grave è il ritardo relativo alla pubblicazione dei dati raccolti dal Registro regionale dei tumori: stando alla risposta che l’assessore regionale Raffaele Donini diede lo scorso anno a Silvia Zamboni di Europa Verde, avrebbe dovuto essere colmato entro la primavera 2021. Siamo nella primavera del 2022 e non si muove foglia.
La pandemia ha dimostrato la necessità di un cambiamento di rotta nelle politiche sanitarie: medicina del territorio, prevenzione primaria, devono essere i nuovi punti di riferimento. Ora strumenti epidemiologici per la prevenzione come il registro tumori risultano imprescindibili. Non si possono ignorare le sofferenze di molte famiglie colpite da malattie tumorali e le fondate preoccupazioni dei quattro milioni e mezzo di emiliano-romagnoli che vivono in una delle aree più inquinate d’Europa.
Nonostante i progressi nelle cure siamo di fronte a una tragedia sociale. Le malattie degenerative e i tumori da inquinamento sono il grande rimosso del discorso pubblico.
Non era cosi negli anni Ottanta. Lo stesso Maltoni si impegnò per il referendum contro il nucleare, dopo Chernobyl. Ho ritrovato una foto del 1986 che lo ritrae a un dibattito in piazza a Massalombarda. Ma Maltoni si impegnò anche con grande energia nel referendum contro i pesticidi, indetto nell’89 dai Verdi col sostegno di Pci, Braccianti (FLAI) Cgil, associazioni ambientaliste, e fallito per mancanza di quorum, per il boicottaggio dei cacciatori, ma 18 milioni di italiani votarono per abolire i pesticidi. Un sondaggio notevole.
Con lui altri scienziati bolognesi andrebbero onorati come Giorgio Celli, entomologo, e Aldo Sacchetti, medico responsabile Igiene Pubblica della Regione Emilia-Romagna e autore di testi fondamentali come “l’Uomo Anti biologico” (Feltrinelli 1985), promotore del primo studio globale sull’inquinamento dell’Emilia-Romagna nel 1974. E Dino Amadori, oncologo fondatore dell’Istituto Oncologico Romagnolo. Scienziati e ricercatori molto impegnati sul piano sociale e anche politico nel senso nobile del termine, che non avevano alcun timore ad andare contro i poteri sostenitori di modelli dannosi di economia, di società, di sanità.
Anche il pur pregevole film su Maltoni “Vivere che rischio” sorvola sugli aspetti del suo impegno politico. Era successo anche nel film su Marcella di Folco, attivista Verde. Una forma di autocensura in tempi che rifuggono la politica, oggi ampiamente screditata e ridotta alla gestione dell’esistente sulla base del sentiment prevalente.
Raccontare un impegno politico di uomini di scienza con una visione risulta fondamentale per costruire la necessaria buona politica.
Un pensiero riguardo “Giusto intitolare un ponte a Cesare Maltoni”