Zuppi: «Avrà futuro chi non ha paura del futuro»

«Queste parole sono il titolo di un capitolo del libro Odierai il prossimo – Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente pubblicato nel novembre 2019 dal nuovo presidente della Cei. Nell’autunno 2020 fotografavano il momento ma soprattutto risultavano perfette come manifesto per le celebrazioni dei 150 anni della Virtus, purtroppo mai pienamente realizzate proprio per il Covid. Don Matteo ci insegna a guardare negli occhi una realtà spaventata e a indicarle una via alternativa»

di Luca Corsolini, giornalista


Non bastassero i gesti, e abbiamo la fortuna di averli vissuti da suoi concittadini, per un anno e più abbiamo avuto davanti agli occhi le parole che bene riassumono il Cardinale Matteo Zuppi, il don Matteo che incontriamo non solo in via Altabella, nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei).

Quelle parole le ho trovate in un libro del Cardinale di novembre 2019, Odierai il prossimo, più rivelatore il sottotitolo Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente. Erano il titolo di un capitolo, Avrà un futuro chi non ha paura del futuro, e mi erano subito sembrate una fotografia precisa del tempo e del momento che stavamo vivendo nell’autunno del 2020, quando ancora mescolavamo la lucidità di Zuppi con le speranze affidate ai balconi che promettevano che tutto sarebbe andato bene.

Quelle parole erano il manifesto perfetto per la festa, anzi per le feste per i 150 anni della Virtus in realtà mai cominciate, annullate e rinviate per la pandemia, ed erano perfette per dipingere il ritratto di una società sportiva che fin dall’inizio, fin dalla intuizione di Emilio Baumann, voleva essere “nella” e “della” città. Dunque, non c’era da aver paura di nessun futuro, della pandemia, di un calendario mutilato di ogni bella intuizione.

Sono andato persino a Mantova, al Festivaletteratura, per avere dal Cardinale il permesso di usare, e di rifugiarci tutti, in quella frase. Quel giorno lui parlava col De Rita che ha inventato il Censis, e anche questa era una metafora potente: uno, Giuseppe, che vede la società nei numeri; l’altro, Matteo, che la guarda negli occhi e proprio perché la scopre spaventata indica una via alternativa.

Oggi, passati i 150 anni della Virtus, passati anche altri libri del Cardinale, svelare dalla vita altre sue ricchezze, come il cammino in comune con David Sassoli, quella frase resta il manifesto che era: non una bandiera da sventolare al derby, ma un modo possibile, per tutti, di vivere. Senza paura, per meritarsi il futuro.

Ed è anche vero che di parole del Cardinale, del nostro don Matteo, ce ne sono altre. Per tutti, compreso quel mondo dello sport di cui lui dice, per pudore, di non far parte. Ma lo sport è appunto parte della società: i tecnici studiano i dati o, in campo, le statistiche. Gli altri per capire guardano negli occhi e sanno parlare anche di sport meglio degli addetti ai lavori. I quali non sono stati nemmeno veloci nel capire che avrebbero avuto ogni vantaggio nel dichiarare Matteo Zuppi loro compagno di squadra.

Photo credits: Sef Virtus/Virtus 150


Rispondi