Referendum? Sono un “astensionista” e me ne vanto

Alle consultazioni di domenica 12 giugno si è registrata una partecipazione bassissima anche a Bologna. Non andare a votare non è solo una risposta nel merito dei quesiti referendari, ma è soprattutto un rifiuto di stare al gioco e di un uso così scopertamente strumentale di due valori sacri: la partecipazione popolare e l’autonomia regionale

di Roberto Bin, costituzionalista


Il referendum abrogativo è una cosa seria, ma chi lo propone non sempre lo è. E l’astensionismo che ha vanificato i referendum – a Bologna ha votato solo il 18% degli aventi diritto, mentre in regione l’affluenza è stata circa il 21% –  per i quali si è votato ieri lo ha clamorosamente confermato.

La Corte costituzionale ha avuto gioco facile nel bloccare i tre referendum di iniziativa popolare (quelli spacciati sotto gli ingannevoli titoli “eutanasia”, “cannabis” e “responsabilità del giudice”), per il semplice motivo che erano giuridicamente sbagliati e palesemente inammissibili: il referendum abrogativo non può produrre come risultato una norma incostituzionale, la Corte lo aveva affermato già nel 1978. Perché allora proporre quesiti chiaramente destinati a essere cestinati? Per insipienza, per errore tecnico o per poter poi gridare allo scandalo, per delegittimare la Corte costituzionale e alcuni suoi membri – come ha fatto ad esempio Santori con un post contro Giuliano Amato – e agitare le acque del più becero populismo anti-istituzionale? O per sollecitare il parlamento a legiferare, con un uso del tutto strumentale delle istituzioni di “democrazia diretta”?

E che dire dei cinque referendum per cui solo pochi sono andati a votare il 12 giugno? Non si può dimenticare che essi sono stati promossi non dall’iniziativa dei cittadini-elettori, ma da un certo numero di Consigli regionali, tutti a maggioranza di centro-destra. Riguardavano aspetti organizzativi della giustizia, salvo quello che voleva abrogare l’intera legge Severino, “in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi”.

In materia di organizzazione giudiziaria le regioni non hanno alcuna voce in capitolo, per cui è davvero difficile capire quale interesse avessero a promuovere la consultazione popolare. La legge Severino invece colpisce anche gli amministratori regionali condannati per gravi reati con sentenza definitiva (in alcuni casi la sospensione dalla carica deriva anche da condanna non definitiva, però): qui forse le regioni hanno qualche interesse, dunque, ma un interesse inconfessabile. Si tratta della difesa del proprio personale politico e del suo rapporto con la giustizia! Dietro alla proposta di questi cinque referendum c’è un preciso indirizzo politico: screditare la magistratura sia per come è organizzata sia – nella legge Severino – per le pronunce che emette dopo regolare processo. Si delegittimano i giudici e il processo, mentre a essere difesi sono invece personaggi politici che hanno subito provvedimenti giudiziari per gravi reati.

Se così stanno le cose – se invece stanno diversamente sarei felice di essere smentito – l’astensione dal voto mi pare più che giustificata: quasi un dovere civico. Personalmente, contesto il diritto delle regioni di usare il referendum come arma di lotta politica; contesto che il cittadino si possa sentire in colpa se non va a votare per dei referendum che non lo riguardano; contesto che si possa decidere con un sì o un no questioni piuttosto complicate che, ne sono sicuro, non erano nella comprensione di buona parte dei consiglieri regionali che hanno votato per la proposta di referendum.

Non andare a votare, dunque, non è solo una risposta nel merito dei referendum, ma è soprattutto un rifiuto di stare al gioco e di un uso così scopertamente strumentale di due valori sacri: la partecipazione popolare e l’autonomia regionale.

Photo credits: Ansa.it


3 pensieri riguardo “Referendum? Sono un “astensionista” e me ne vanto

  1. Io mi vanto di essere andato a votare valutando i si ed i no in base ai singoli quesiti. In democrazia la partecipazione e’ sempre un valore. Forse il tema della separazione delle funzioni tra Giudice e Pubblico Ministero, tanto caro a Giovanni Falcone, meritava maggiore attenzione, soprattutto da parte dei giuristi.

  2. Con la ruvidità che gli è meritoriamente consueta, Roberto Bin ci ha dato una seria e correttissima lezione di diritto costituzionale e di cittadinanza consapevole. Cercheò di diffondere questo scritto.

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