A quando un Museo della fotografia bolognese?

Il racconto di Bologna per immagini, dall’Ottocento a oggi, da Pietro Poppi a Nino Migliori, da Enrico Pasquali a Walter Breveglieri, merita un luogo “a beneficio di tutti i cittadini e degli ospiti della nostra città”. Dagli Archivi degli enti e dei privati al grande pubblico, una nuova stagione per i fondi fotografici di alcuni Maestri

di Achille Scalabrin, giornalista


All’angolo tra via San Vitale e via Zamboni, c’è una Bologna metafisica, incantevole, magica. Racchiusa nella piccola Galleria Due Torri, c’è la Bologna di Pietro Poppi: una ventina di fotografie con cui raccontò la Bologna di fine Ottocento, e che gli abitanti del condominio tra le due vie hanno deciso da qualche anno di ospitare in una mostra permanente «a beneficio di tutti i cittadini e degli ospiti della nostra città».  Piazza Santo Stefano deserta, la salita per San Luca altrettanto, così come Piazza Malpighi: a parlare sono gli edifici, le architetture di una città allora in bilico tra passato e futuro, tra storia e modernità. E i pochi passanti che interrompono il deserto incantato in via Santo Stefano, a Porta Castiglione, in via Indipendenza servono soltanto a rafforzare l’idea di bellezza. I loro sguardi ora stupiti ora divertiti diventano lo sguardo di chi osserva questa piccola esposizione nel cuore della città.

Una città fantasma, spopolata? La ressa delle lavandaie lungo il Canale di Reno (con affollato affaccio di uomini evidentemente conquistati dalle movenze femminili), l’allora Piazza Vittorio Emanuele con i conducenti dei tramway a cavalli, gli uomini che in piazza Nettuno si fanno largo tra muri di neve appartengono a una città viva, in progress che il fotografo Poppi andava fissando su lastre negative al collodio o in quelle alla gelatina ai sali d’argento. Era ‘nato’ come pittore paesista, per poi trasferire alla nuova arte quel suo particolare colpo d’occhio, in colpo d’occhio di un innamorato di Bologna. In via Mercato di Mezzo 56 aveva una cartoleria che poi lasciò il posto alla sua nuova passione: Fotografia dell’Emilia il nome della ditta. Nello stesso palazzo operava il parigino Emilio Anriot, un antesignano del racconto di Bologna per immagini.

Se oggi, districandoci dalla ressa di Piazza Ravegnana e dintorni, è possibile tuffarci in questo angolo suggestivo e ritrovare la memoria della città ottocentesca è quindi merito dei condomini del palazzo, che grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio (proprietaria dell’Archivio Poppi) e alla società Museo nella Città di Bologna hanno attinto a un corpus di 3.100 negativi su vetro, conservati nella Biblioteca di San Giorgio in Poggiale. Ma una domanda viene spontanea: quante altre “contaminazioni” sarebbero possibili con le foto di Poppi, di quel signore con barba risorgimentale che batteva tutti gli angoli della città? Quanti altri palazzi, piazze, strade, portici, giardini potrebbero mostrarci la Bologna post unitaria e i suoi incanti, abbellirsi con le immagini di un cantore della città fin de siècle?

Ma Poppi è soltanto uno dei protagonisti di quella che potremmo definire la ‘scuola bolognese ed emiliana’ della fotografia, che partendo dal XIX secolo imbocca il XX e il XXI. E allora una domanda si aggiunge all’altra: a quando un museo che la racchiuda, la mostri, la faccia conoscere? Vengono in mente le belle mostre occasionalmente ospitate nelle bacheche di Palazzo d’Accursio, e appare ancora più evidente che nomi quali Giacomo Bersani, Giuseppe Ranuzzi, Giuseppe Michelini, Enrico Pasquali, Nino Migliori, Walter Breveglieri, Aldo Ferrari, Nino Comaschi, Antonio Masotti, Paolo Ferrari, Mario Rebeschini meriterebbero un luogo stabile da cui raccontarci la loro Bologna, che è stata ed è anche nostra.

Vedustisti e cronisti, in alcuni casi veri maestri della fotografia italiana, che con i loro scatti hanno reso possibile un ordito in cui troviamo oltre cent’anni di vita sociale, di economia, politica, storia. Sono clic sulle aspirazioni post papaline, sulle delusioni d’inizio secolo, sul fascismo arrembante, sulla guerra e sul dopoguerra, sul boom economico e sulla classe operaia, sul comunismo all’emiliana, sull’isola rossa punteggiata da tanti colori. Vanno soltanto aperte le porte per lasciare che dagli archivi della Carisbo, della Cineteca, della Minerva edizioni le loro foto abbiano una visibilità «a beneficio di tutti i cittadini e degli ospiti della nostra città». Esposizione permanente affiancata da mostre temporanee. La storia e la memoria di Bologna per immagini.

Un Museo, ma dove? Molti sono i luoghi, gli edifici in via di “riqualificazione” che volentieri lo accoglierebbero sottraendosi alle bramosie della speculazione edilizia. Più che di disponibilità di fondi, è una questione di volontà politica, di impegno culturale, di amore per Bologna.

In copertina: Alfonso Zagnoli, Bologna – Piazza Vittorio Emanuele II (Piazza Maggiore), 1909, gelatina bromuro d’argento su vetro. Photo credits: Biblioteca di San Giorgio in Poggiale, (CC BY-SA)


Un pensiero riguardo “A quando un Museo della fotografia bolognese?

  1. Purtroppo è più probabile che venga aperto un locale per mangiare o per aperitivi che non un luogo culturale.

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