Naturalista, botanico, entomologo. Tutto questo era Ulisse Aldrovandi, scienziato bolognese vissuto tra il 1522 e il 1605. Docente di Filosofia e Storia naturale presso la nostra università cittadina, Aldrovandi dedicò gran parte della carriera a un grande sforzo di catalogazione e diffusione delle conoscenze naturalistiche del suo tempo. Quest’anno, per celebrare il cinquecentenario dalla sua nascita, l’Università di Bologna ha immaginato una serie di eventi commemorativi
di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB
Ultimo in ordine di tempo il convegno internazionale “Global Aldrovandi: exchanging nature in the early modern world” tenutosi gli scorsi 16 e 17 giugno nell’Aula Prodi del Dipartimento di Storia Culture Civiltà e organizzato da Marco Beretta, professore ordinario di storia della scienza e delle tecniche Unibo e presidente dell’Edizione Nazionale delle Opere di Ulisse Aldrovandi, insieme a Davide Domenici, professore associato di discipline demoetnoantropologiche Unibo, e Lia Markey della Newberry Library di Chicago.
Il professor Beretta è anche direttore scientifico, insieme alla professoressa Lucia Raggetti, di Aldrovandiana. Historical Studies in Natural History, rivista semestrale a vocazione internazionale edita dalla Bologna University Press (Bup). Peer reviewed e open access, Aldrovandiana nasce per essere uno spazio di dialogo tra giovani ricercatori e studiosi esperti di storia del naturalismo inteso nel suo senso più ampio, pubblicando gli studi sulla storia naturale provenienti sia dagli ambiti più tradizionali sia da quelli legati alla storia delle collezioni e dei musei naturalistici, dell’ambiente, degli scambi globali e mediterranei, delle relazioni tra colonialismo e conoscenza della natura.
Professor Beretta, cosa vi ha spinti a lanciare questa rivista e perché adesso?
«Non si può negare che questa iniziativa editoriale sia stata ispirata dal cinquecentenario di Ulisse Aldrovandi. Bisogna però dire che collegato a questo c’è un gruppo di docenti e ricercatori che si è riunito insieme a me e Lucia Raggetti, storica della scienza araba, con l’idea di dare vita a una rivista interamente dedicata agli studi sulla storia naturale, che fu il settore di ricerca prevalente, per non dire quello su cui fondò la propria fama Aldrovandi.
Fin dall’antichità, e ancora di più dal Rinascimento, lo studio delle specie animali, vegetali e minerali ha portato una serie di problematiche molto interessanti, che sono penetrate nella coscienza culturale europea e ne hanno alterato alcuni aspetti. Pensiamo ad esempio alla coltivazione di frutta e verdura esotiche o all’allevamento di specie provenienti da altri continenti: tutti elementi che, nei secoli delle grandi scoperte geografiche, stravolsero le abitudini alimentari e agricole, così come le dinamiche del commercio europeo, prefigurando quello che noi oggi chiamiamo il mondo globale.
Un altro aspetto non meno importante è quello delle popolazioni indigene che via via si andavano incontrando: una peculiarità degli studi di storia naturale fu sempre quella di un’estrema curiosità nel cercare di apprendere quali fossero i loro usi e costumi, lasciandoci oggi tutta una serie di tematiche che sono ancora attualissime, ad esempio il problema di come collocare ed esporre nei musei le collezioni naturalistiche e antropologiche, che sono il frutto di conquiste spesso e volentieri cruente.
Dunque la rivista nasce certo per celebrare la figura del grande naturalista bolognese, ma soprattutto per rilanciare un dibattito generale sulle scienze naturali nel mondo contemporaneo».
Dato il periodo storico che stiamo vivendo, secondo lei quanto è importante la diffusione di una cultura scientifica per avere una società che sia capace di interpretare la complessità del mondo senza semplificazioni o mistificazioni?
«Come ogni conoscenza, anche quella scientifica è articolata attraverso il linguaggio. Nel caso delle scienze naturali, poi, si tratta di una conoscenza molto condizionata e condizionante la società con cui interloquisce, e alla quale pone da sempre sfide e interrogativi, aggiornati in base al periodo storico e alle nuove scoperte che mano a mano vengono fatte. Pensiamo ad esempio alla questione dell’ibridazione tra specie diverse: una discussione che va avanti dai tempi degli antichi greci e che anche oggi, con la genetica, interessa da vicino il dibattito pubblico.
La storia naturale è dunque una disciplina molto interessante proprio perché da sempre risente di questo tipo di tensione, di dialogo, a volte di contraddizioni positive o negative tra l’attività scientifica e la società, che ovviamente influenza tanto la ricerca quanto l’applicazione delle nuove scoperte, sollecitando anche gli scienziati ad affrontare determinate problematiche, di carattere tecnico quanto etico, che possono derivare dalla ricerca scientifica globale. Un ruolo molto importante lo svolgono infine i musei di storia naturale, che in tutto il mondo sono istituzioni ancora molto riconosciute e visitate da milioni di persone ogni anno».
A proposito di questo, negli ultimi anni si è aperto un dibattito internazionale sulla forma museo e su quanto questa ‘orienti’ la conoscenza dei visitatori. Secondo lei il tradizionale modello espositivo va totalmente ripensato?
«Negli ultimi vent’anni ci sono state tutta una serie di rivendicazioni che hanno giustamente evidenziato i limiti del modello museale classico, il quale in molti casi si prestava a percorsi che ancora richiamavano idee scientifiche riferibili al periodo coloniale: una visione completamente fuorviante che non corrispondeva e non corrisponde più alla realtà. Queste discussioni hanno favorito profondi e utili ripensamenti, che hanno portato in alcuni casi a riconfigurazioni molto felici.
Pur nelle sue contraddizioni, questo dimostra quanto questi luoghi siano ancora frequentatissimi e popolarissimi, quanto interagiscano in maniera molto presente con la società. I musei sono dunque spazi molto sensibili, ma bisogna ricordare che non è mai facile ripensare un allestimento se non dopo anni di ricerca. I musei di storia naturale sono tra i più interessanti in questo momento proprio perché sono tra i più vivaci e impegnati in questo lavoro di rinnovamento».
Il clima è senza dubbio un altro elemento molto importante e che da sempre influenza la biodiversità. Quanto è rilevante per lo studio della storia naturale?
«La storia naturale come disciplina non esiste più dalla fine del ‘700. Da allora a oggi i campi di indagine che un tempo venivano raccolti al suo interno si sono ramificati in tantissime discipline diverse come la biologia o la geologia. La storia naturale tuttavia non è morta e i musei hanno accolto al loro interno sia gli elementi di una tradizione precedente sia quelli più legati ai nuovi aspetti dell’evoluzionismo darwiniano e delle successive scoperte, ad esempio l’attenzione nei confronti delle specie come identità collettive che si sono evolute intrecciando un’evoluzione naturale all’intervento dell’uomo. Non a caso oggi si parla di Antropocene. Della storia naturale è rimasto soprattutto il punto di vista globale, un ingrediente fondamentale su cui si è basata appunto una nuova teoria».
Oltre alla rivista, quali sono i progetti che porterete avanti nei prossimi mesi?
«Il Ministero dei Beni Culturali ci ha garantito un finanziamento per l’edizione nazionale digitale delle opere di Ulisse Aldrovandi, di cui la nostra biblioteca universitaria conserva oltre 400 volumi manoscritti, in larghissima parte inediti. Su iniziativa della Bub verranno realizzati un nuovo catalogo digitale dei manoscritti e della biblioteca del naturalista bolognese. Altro progetto molto importante sarà il riallestimento della Sala Aldrovandi, istituita nel 1907 all’interno del Museo di Palazzo Poggi: grazie al finanziamento raccolto dal Sistema Museale di Ateneo (Sma), i reperti naturalistici collezionati da Aldrovandi e in gran parte esposti nella sala saranno restaurati e catalogati scientificamente. É, infine, in corso di preparazione presso il Museo di Palazzo Poggi una mostra che chiuderà, sul finire dell’anno, le celebrazioni aldrovandiane».
L’articolo è stato realizzato per la rivista di CUBo – Circolo Università di Bologna, diretta da Massimiliano Cordeddu